La strana fine della Olivetti, un sogno italiano
Ascesa e declino dell’azienda che creò il primo PC al mondo. Schiacciata dalla Guerra Fredda e dai peggiori vizi italiani
Una certa retorica antiamericana ci ha abituati ad attribuire agli Stati Uniti – e alla CIA in particolare – qualsiasi nefandezza. Dietro ogni mistero italiano, ogni strage di stato, ogni grande avvenimento si celerebbe l’ombra della Central Intelligence Agency; sullo sfondo, il regime di libertà vigilata a cui il Paese è stato sottoposto negli anni della Guerra Fredda, senza possibilità di alcuna autonomia. Ma è andata proprio così?
Il sogno spezzato
Un caso assai paradigmatico è quello della Olivetti, la leggendaria fabbrica di macchine da scrivere di Ivrea dove nacque il primo personal computer del mondo. Adriano, succedendo al padre Camillo che la fondò, sviluppò l’azienda di famiglia in modo dinamico e straordinariamente innovativo, si circondò di giovani brillanti in ogni campo. Elaborò un modello di fabbrica umanistica, centro di relazioni sociali e politiche che costituivano una “terza via” tra il capitalismo selvaggio di stampo anglosassone e quello di stato di matrice sovietica. Fondò un movimento politico-culturale, una casa editrice e un gruppo editoriale, cercando appoggi che non arrivarono.
Anzi, il suo sogno visionario naufragò in seguito alla sua morte prematura – e secondo alcuni, sospetta – e poi a quella di Mario Tchou, capo della divisione elettronica della Olivetti. L’azienda venne quindi acquistata dalla General Electric e il primato dell’elettronica tornò saldamente nelle mani della IBM, con l’aiuto del ‘salotto buono’ del capitalismo italiano. Un sogno spezzato, che a molti ricorda la parabola di Enrico Mattei, dell’ENI e della sua tragica sfida alle “sette sorelle”.
Storia di un’eccellenza
Adriano nasce nel 1901 da padre ebreo e madre valdese, in un’atmosfera di adesione a un socialismo umanistico e non marxista. Nei primi anni del fascismo partecipa alle operazioni per l’espatrio clandestino di Filippo Turati insieme a Rosselli, Parri e Pertini, ed è identificato come “sovversivo” dalla Questura di Aosta. Divenuto Direttore Generale dell’azienda nel 1932, trova un equilibrio con il regime iscrivendosi al partito, pur continuando a impegnarsi nell’antifascismo. Negli anni della guerra fa da collegamento tra i vertici della Resistenza del nord Italia e i servizi segreti americani, lui che ha studiato negli Stati Uniti, parla inglese ed è tipo di ampie vedute. Mr. Olivetti, “contatto” dei servizi Usa, ha anche un nome in codice: agente 660. Il suo interlocutore durante la guerra, Allen Dulles, non è l’ultimo arrivato, e nel 1953 verrà nominato direttore della CIA dal presidente Eisenhower.
L’azienda intanto raggiunge i 40.000 dipendenti, ha sedi in tutto il mondo e continua a consolidare la sua egemonia nel mercato delle macchine da scrivere. Nel 1959 acquista la mitica Underwood: è la prima volta che un’azienda italiana compra un marchio statunitense. Il settore è delicato per la sicurezza di stato, perché ha a che fare con trasmissioni, decrittazioni, intercettazioni di dati sensibili ed è in rapido sviluppo tecnologico. L’Italia fino a poco tempo prima era stato un paese “nemico”, e anche ora che è amico mantiene rapporti ambigui con paesi nemici come Unione Sovietica e Cina tramite il più grande partito comunista del campo occidentale. La notizia dell’acquisto fa scalpore, e il governo americano oppone un ricorso antitrust, che però non fermerà l’acquisto. Peraltro, la Underwood è in declino da tempo e da un punto di vista finanziario l’operazione sarà un disastro.
Nascita dell’informatica italiana
La grande intuizione di Adriano è però quella di sviluppare il settore elettronico. Fino a quel momento calcolatori ed elaboratori avevano adottato sistemi meccanici, e i primi sistemi elettronici arrivano a occupare lo spazio di un campo da tennis. Mario Tchou, giovane ingegnere figlio di diplomatici cinesi nato in Italia, nel laboratorio Olivetti di Pisa comincia a sperimentare i transistor, che consentono di ridurre le dimensioni dei circuiti e aumentare la velocità delle operazioni. La sperimentazione porterà ai modelli ELEA 9000 e alle successive versioni fino alla 9003, il primo computer commerciale a transistor al mondo. Tutto italiano, e tutto senza una lira di contributo pubblico. Dirà nel 1959 Tchou: “Gli Stati Uniti stanziano somme ingenti per le ricerche elettroniche, specialmente a scopi militari. Anche la Gran Bretagna spende milioni di sterline. Lo sforzo dell’Olivetti è molto notevole, ma gli altri hanno un futuro più sicuro del nostro, essendo aiutati dallo stato.”
Il sogno nel sogno
Adriano in quegli anni è molto preso dal suo sogno di un capitalismo italiano dinamico, illuminato e socialmente responsabile. La sua visione di società basata su un modello socialista utopistico, pre-marxista, libertario e umanistico, con la fabbrica-comunità al servizio del benessere dei lavoratori e di tutte le loro necessità sociali e culturali, ha preso forma a Ivrea, a Pozzuoli, a Barbaricina, a Borgolombardo; ed è pronta ad essere trasferita su scala nazionale. Ed è un modello di successo, non la solita teorizzazione fallimentare né la classica industria italiana, poco propensa al rischio e assistita dalle finanze pubbliche. Vede con sospetto il ruolo dello stato quando, sia nella declinazione turbocapitalistica sia in quella sovietista, arriva a soffocare la libertà, il talento, l’autodeterminazione: una sorta di “terza via” basata sulla costruzione di un sistema istituzionale dal basso, fondato sulle comunità locali e che tramite il principio federalista arriva fino al livello europeo. E’ la mission del suo “Movimento di Comunità”.
L’idea, insomma, è quella di costruire in Italia una sinistra non comunista, antisovietica, ispirata da ideali radicali ma saldamente ancorata al campo occidentale, alternativa allo statalismo della DC e al modello Fiat. L’ingegnere di Ivrea sa che una visione del genere necessita di un ampio sostegno politico e finanziario; e l’interlocutore naturale non può che essere il governo degli Stati Uniti, tramite il suo vecchio amico e confidente Allen Dulles, ora capo della CIA. Con cui ebbe una fittissima interlocuzione, soprattutto all’avvicinarsi della campagna elettorale del 1958, esordio del suo partito.
Il ruolo della CIA
Nelle carte desecretate della CIA emerge la preoccupazione di Adriano Olivetti per gli equilibri internazionali nel caso che il PCI assuma l’egemonia della sinistra; ma anche che la DC, diventando il perno unico di un sistema bloccato, finisca per paralizzare il paese in una ragnatela di relazioni clientelari, corrotte e paternalistiche, avverse a ogni forma di dinamismo e di libera concorrenza. E che il PSI, invece di generare un’alternativa alla DC in un’ottica pienamente bipolare, venga risucchiato verso l’uno o verso l’altro polo, necessitando dunque di un alleato in grado di fare massa critica; ruolo al quale candida il suo Movimento. E per il quale chiede sostegno agli americani, interessati a rafforzare la fragile democrazia italiana nel campo atlantico.
La sua visione ha diversi simpatizzanti nell’intelligence americana. Ma investire su Adriano Olivetti e le sue pur affascinanti utopie a discapito del solido blocco costituito dall’affidabile DC e il capitalismo familiare italiano, organico e conservatore, è davvero un azzardo per l’America del Maccartismo, che vede con orrore qualsiasi cosa che possa sembrare ‘leftish’. E poi, l’agente 660 e Mario Tchou compiono un errore fatale: cercano sbocchi commerciali anche in Unione Sovietica e in Cina, rischiando di mettere nelle mani del nemico segreti industriali di rilevanza militare strategica. Quelli della nascente informatica occidentale.
Epilogo
Il sostegno richiesto non arriva, e il Movimento Comunità alle elezioni del ’58 è un insuccesso. Adriano Olivetti nel 1960 muore sul treno diretto per la Svizzera, probabilmente per infarto o ictus: l’autopsia non verrà mai eseguita. Mario Tchou seguirà l’anno successivo, in uno strano incidente d’auto. Roberto, figlio di Adriano, continuerà a sviluppare i progetti paterni e nel 1965 porterà alla Fiera mondiale di New York il P101, il primo desktop computer al mondo (il cui prototipo verrà misteriosamente trafugato), nell’ormai iconico design di casa Olivetti. Un primato mondiale, ma ormai è un canto del cigno.
L’acquisto della Underwood ha dissanguato l’azienda. Una ‘generosa’ cordata pubblico-privata composta da Fiat, Mediobanca, IMI e Banca Centrale si fa avanti per entrare nel capitale, ma a una condizione: che venga dismessa la Divisione Elettronica Olivetti, la sua punta di diamante. Ufficialmente perchè, come dice Vittorio Valletta, il leggendario uomo di ferro della Fiat, “occorrono investimenti che nessuna azienda può affrontare”. Ma gli azionisti in seguito getteranno la maschera e il 75% dell’azienda verrà direttamente ceduto all’americana General Electric, secondo un disegno chiaro fin dall’inizio. Quando nel 1978 arriva Carlo Debenedetti l’azienda recupera utili ma è troppo tardi, i padroni assoluti dell’informatica sono ormai i colossi americani e giapponesi. Il sogno italiano è finito da un pezzo.
Sulle morti di Adriano Olivetti e Mario Tchou si sono fatte molte congetture di omicidio, in verità senza prove concrete. Ma certo è che l’azienda, i suoi primati e la visione politico-imprenditoriale di Adriano ebbero molti spietati nemici. Nel capitalismo italiano, nell’oligarchia partitica, nell’organizzazione in blocchi contrapposti della Guerra Fredda. Alla CIA, probabilmente, bastò fare il ruolo del facilitatore. Il resto, pensava Mister Dulles, gli italiani da sempre sono bravissimi a farlo anche da soli.
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