Omicidio Regeni, esecutori e mandanti
La chiusura delle indagini preliminari ha individuato i presunti responsabili materiali dell’omicidio. Ma restano molte zone d’ombra
La recente chiusura delle indagini preliminari sull’omicidio di Giulio Regeni ha rinnovato l’emozione nell’opinione pubblica italiana. I macabri dettagli sulle torture subite dal ventottenne ricercatore hanno generato una nuova ondata di indignazione nei confronti del premier egiziano Al-Sisi. Media e sentire comune chiedono a gran voce di interrompere i rapporti con l’Egitto, condannando in particolare la consegna, proprio in questi giorni, di una delle due fregate Fremm commissionate a Fincantieri. Possibile, si dice, che dobbiamo armare la mano degli assassini? Perché non riusciamo a farci rispettare? Cosa possiamo fare per ottenere giustizia?
Sull’andamento dell’inchiesta e sull’inaccettabile ostruzionismo egiziano molto si è detto. Meno ci si è concentrati sul contesto geopolitico in cui l’efferato omicidio è maturato: lì potrebbero risiedere le vere chiavi di lettura di quella tragedia. Come nelle indagini sulle nostre ‘Stragi di Stato’, la verità giudiziaria spesso si ferma all’individuazione degli esecutori materiali. Ma la verità storica chiama in causa una platea di attori molto più ampia.
Italia ed Egitto, una relazione stretta
Un primo elemento da considerare è la presenza italiana in Egitto. Con la Libia in pezzi nel 2011 per iniziativa francese, e Algeria e Tunisia saldamente ancorate a quell’area di influenza, l’Italia ha cercato nuovi punti di riferimento nel mondo arabo-mediterraneo. Nel caos maghrebino, l’Egitto rappresenta un partner relativamente stabile, con importanti progetti di sviluppo legati al raddoppio del canale di Suez, alla portualità e all’irrigazione di vaste aree desertiche con nuovi e imponenti sbarramenti del Nilo. Nel decennio passato l’Italia è stata il suo primo partner commerciale europeo, e tra i primi in assoluto con Cina, Arabia Saudita e Stati Uniti, importando prodotti energetici e agricoli ed esportando macchinari industriali, prodotti del settore chimico, metallurgico e di arredamento. Al Cairo sono presenti e ben radicate non solo Eni ed Enel, ma anche Edison, Impregilo, Ansaldo, Italcementi, Alcatel. E molte altre ancora.
Nel 2015 Eni scopre a Zohr, al largo di Port Said, un giacimento di gas da 850 miliardi di metri cubi: il più grande del Mediterraneo. E forse a Nohr, poco distante, ce n’è ancora di più: quel gas renderà l’Egitto energeticamente indipendente, e gli consentirà anche di esportarlo. Non solo, ma data la vicinanza dei giacimenti Leviatan e Afrodite, nelle acque territoriali israeliane, con questa scoperta l’Egitto potrà entrare da protagonista nelle relazioni geoenergetiche con Turchia, Russia e Israele. Insomma, un bel salto nel ranking geopolitico mediorientale. Con un ruolo di primissimo piano dell’Italia.
Tra il 2015 e il 2016 i governi Renzi e Gentiloni vogliono incassare la cambiale, e relazioni e interscambi si intensificano ulteriormente. Ma l’area, già protettorato britannico, è storicamente presidiata da altri paesi ‘alleati’ e potrebbe esserci qualcuno che non gradisce tanto attivismo da parte dell’Italia. La geopolitica funziona così.
Lo studente inglese
Giulio Regeni è italiano, ma è uno studente di Cambridge. La sua tesi di dottorato punta a capire se in Egitto la rete dei sindacati indipendenti, nel 2011 motore del movimento rivoluzionario di piazza Tahrir, può fare da base per la costruzione di un futuro sistema democratico. A guidarlo dalla Gran Bretagna c’è la professoressa Maha Abdel Rahman, che tra le altre cose gli assegna una tutor presso l’American University del Cairo, Rabab Abdel El Mahdi. Su questa scelta Giulio scriverà – in friulano- alla madre:
“… Ieri se semo trovai (…) per discuter del nome del supervisor in Egitto… Ela me ga proposto Rabab El Mahdi che xe una politologa egiziana conosuda anche perché la xe una grande attivista… Mi go fatto il codardo e ghe go ditto che ero un po’ preoccupà del fatto che la ga molta visibilità in Egitto e no volesi esser tanto in primo piano…”.
Il computer di Giulio mostra che questa non fu l’unica divergenza con la sua relatrice: in un’altra mail alla madre, scrive che è stata proprio la docente ad insistere affinché lui svolgesse quella ricerca. Maha Abdel Rahman, ritenuta vicina ai Fratelli Musulmani, il cui governo venne destituito dal colpo di stato di Al Sisi, sembrerebbe aver spinto il suo studente in giri che sapeva essere rischiosi, tanto che dopo l’omicidio scriverà a un collega canadese di aver “mandato un giovane ricercatore verso la sua morte”. Un rimorso a cui però non seguirà mai un atteggiamento collaborativo con la magistratura italiana. Tanto da far scrivere al Pubblico Ministero Sergio Colaiocco di “assenza di volontà di contribuire alle indagini relative al sequestro, la tortura e l’omicidio di un suo studente; quali siano le ragioni di siffatta anomala condotta non è stato possibile, sino ad oggi, accertare.” Insomma, un muro di gomma.
Cambridge e le frequentazioni pericolose
Eppure Maha sapeva che in Egitto Giulio non sarebbe passato inosservato, come lo sapeva anche lui. Tra il 2013 e il 2014 il ragazzo aveva lavorato per Oxford Analytica, una nota azienda di intelligence privata. Sapeva anche che i suoi frequenti contatti con l’opposizione ad Al Sisi lo avrebbero presto portato a incontrare l’ossessione egiziana per le spie. Eppure quando Mohamed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti, gli propone di far arrivare dalla Gran Bretagna una borsa di studio da 10.000 sterline da utilizzare per attività politiche, Giulio è chiaro: non si può fare, sono qui per studiare, non per mettermi nei guai, gli dice. Pare che Abdallah avesse moglie e figlia malate e anche per questo potrebbe aver venduto Giulio alla National Security egiziana. Dichiarando, a sua discolpa: “Io ve l’ho sempre detto che dietro la morte di Giulio c’era la pista dei britannici”.
Chissà se si riferiva al fatto che il college inglese è da sempre luogo di formazione e informazione dell’MI-6, il servizio di intelligence britannica, fin dai tempi dei “Cinque di Cambridge”, i famosi 007 doppiogiochisti protagonisti dello scambio di informazioni con l’Unione Sovietica a partire dagli anni ‘30. E se anche lui, come Al Sisi, pensava che “Giulio Regeni è stato ucciso per danneggiare le relazioni tra Italia ed Egitto”, come dichiarato dal premier egiziano a Claudio Descalzi, AD di Eni durante la cerimonia di avvio della produzione del giacimento di Zohr. Aggiungendo: “Sa perché volevano danneggiare le relazioni fra Egitto ed Italia? Affinché non arrivassimo qui”.
Un ritrovamento non casuale
Certo è che il ritrovamento del corpo di Giulio avviene il 3 febbraio 2016, proprio nel giorno in cui l’allora ministra allo sviluppo economico Federica Guidi atterra al Cairo con una nutrita delegazione diplomatica e imprenditoriale. È l’indomani della scoperta del giacimento gassifero di Zohr, un momento in cui le relazioni italo-egiziane sono al massimo. Il cadavere viene ‘abbandonato’ lungo la trafficata strada per Alessandria, alla periferia del Cairo, ed è chiara l’intenzione di farlo ritrovare. La delegazione, dopo alcuni primi drammatici sopralluoghi effettuati dalla stessa ministra e dall’allora ambasciatore al Cairo Maurizio Massari, abbandonerà frettolosamente il paese e tutti gli appuntamenti verranno annullati.
Ci sono pochi dubbi, ormai, su come siano andate materialmente le cose. Regeni è stato seguito, spiato, sequestrato, torturato e ucciso dai servizi egiziani che lo ritenevano una spia, e la Procura della Repubblica di Roma il 10 dicembre 2020 ha chiuso le indagini preliminari su quattro agenti della National Security Agency, contestando loro i reati di sequestro di persona pluriaggravato e concorso in lesioni personali gravissime. Ma è anche evidente che c’era chi aveva interesse a boicottare le buone relazioni tra i due paesi, una presenza italiana che si stava facendo massiccia e un ritorno positivo per il regime in carica. E anche un riposizionamento nella crisi libica, nella quale l’Italia cercava di avvicinare Haftar con la mediazione del suo alleato egiziano per uscire dall’angolo del sostegno ad Al Serraj. Certo è che l’”incidente” ha funzionato.
Cui prodest?
La lotta politica tra i Fratelli Musulmani e il regime di Al Sisi, che li ha estromessi dal potere, potrebbe dunque essere stata incoraggiata o quantomeno agevolata da altri attori. C’era chi non vedeva di buon occhio la crescente presenza italiana in Egitto, e che potrebbe aver prima utilizzato Regeni per avere notizie per poi scaricarlo, abbandonandolo al proprio tragico destino. Le indagini, la pubblica indignazione e le dichiarazioni dei politici focalizzano prevalentemente sulle responsabilità egiziane.
Ma quelle responsabilità, ormai accertate, parlano di un sistema di convenienze molto più ampio e complesso.
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