Omosessuali criminali

Passate le Olimpiadi invernali e complice la crisi in Crimea, le leggi contro la “Propaganda omosessuale” varate a gennaio 2013 dal Cremlino sono finite nel dimenticatoio, mentre i gay continuano a rischiare il carcere. Non è solo la Russia, però, a considerarli dei criminali: il numero di paesi che puniscono l’omosessualità, anzi, sembra destinato a salire.

Altro che lobby omosessuale pronta a conquistare il mondo. Se il 2013 si era chiuso all’insegna di un brutto salto nel passato per i diritti LGBTQI, il nuovo anno sembra partire sotto auspici ancor peggiori. A inaugurare il trend decisamente negativo è stata la Nigeria. Il 7 gennaio il presidente Goodluck Johnatan ha firmato una legge che punisce, con pene che vanno dai 10 ai 14 anni, le unioni gay, le effusioni in pubblico e l’appartenenza ad associazioni omosessuali. L’entrata in vigore della legge, dice Amnesty International, ha scatenato una vera e propria caccia alle streghe. In una sola settimana, ben 38 persone sarebbero state arrestate sulla base della nuova normativa, e il clima repressivo ha dato vita a vere e proprie liste di proscrizione nelle mani della polizia. Spiati, imprigionati e torturati, gli omosessuali nigeriani, soprattutto i più poveri, sono costretti a nascondersi: «Quelli ricchi hanno già abbandonato il Paese, o si recheranno all’estero per fare sesso», aveva spiegato all’Ap Olumide Makanjuola, direttore esecutivo della Initiative For Equality in Nigeria. La clandestinità sembra essere l’unica scelta anche per gli omosessuali che vivono in Uganda: il 24 febbraio, infatti, il presidente Yoweri Mousveni ha promulgato la legge, votata dal parlamento del dicembre dello scorso anno, che criminalizza “la promozione dell’omosessualità”. Chi viene riconosciuto come omosessuale rischia 14 anni di carcere, mentre per i “recidivi” rei di “omosessualità aggravata” la condanna è a vita. {ads1} Le leggi approvate da Uganda e Nigeria, dicono gli attivisti, non sono pericolose solo per la libertà dei cittadini, ma anche per la loro salute. La repressione omofoba, infatti, potrebbe avere un’influenza nefasta sulla lotta contro l’Aids. Il provvedimento però, secondo i promotori, non ha niente a che vedere con la salute. La legge, anzi, dovrebbe ridurre drasticamente l’incidenza dell’omosessualità, visto che «è stato dimostrato che non è affatto una malattia, non ha nulla a che vedere con la genetica e per questo motivo sono portato a pensare che sia un atteggiamento che scaturisce da alcuni input che arrivano direttamente dalla società esterna», ha dichiarato il Presidente. Quella di Mousveni – che inizialmente aveva definito “fascista” la legge – sembra una mossa politica per mettere ko le opposizioni. A farne le spese, però, saranno i gay ugandesi: «Ce lo dicevano da un po’: “Se passa la legge, vedrete come finisce“». In fondo, questa è anche una sfida alle potenze occidentali, che avevano minacciato di tagliare gli aiuti al Paese se questa discriminazione – paragonata da Obama all’aparheid – fosse stata legittimata.

A tentare un nuovo apartheid, stavolta di tipo economico, è stata però anche l’americanissima Arizona. Mentre i vicini legalizzano il matrimonio per tutti, infatti, il 22 febbraio il parlamento ha votato il cosiddetto “anti gay bill“, una sorta di obiezione di coscienza per i commercianti, una legge che concedeva a qualsiasi negozio, imprenditore, ufficio, di negare i servizi a un cliente sulla base di “ferme convinzioni religiose”. Questa possibilità è durata poco: dopo soli cinque giorni, la governatrice repubblicana Jen Brewer ha posto il veto alla legge, andando contro il suo stesso partito. All’origine della decisione ci sarebbe la paura di una spaccatura nel paese e, soprattutto, quella di un boicottaggio economico. La retromarcia, dicono i maligni, potrebbe essere dovuta anche alla scoperta – già fatta a suo tempo da Guido Barilla – che i gay spendono, e molto. La discriminazione non è redditizia e in fondo, lo sanno tutti, pecunia non olet.

Chi, invece, non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’approvazione di una scellerata legge antigay è Hassanal Bolkiah, Sultano e Primo Ministro del Brunei. Dal 1° aprile il suo sarà l’ottavo paese a prevedere la pena capitale per gli omosessuali. Finora i rapporti anali erano puniti con la reclusione fino a dieci anni, ma tra poco più di due settimane la legge islamica della Sharia sarà applicata a livello nazionale. Da quel momento, chi verrà riconosciuto come omosessuale – anche in assenza di rapporti sessuali – sarà punito con la flagellazione e con la condanna a morte mediante lapidazione. Il caso dell’Uganda è stato condannato da tutte le potenze occidentali, dall’Onu all’Ue, e la Banca Mondiale ha addirittura bloccato aiuti per 60 milioni ribadendo la propria opposizione a ogni discriminazione. Le Olimpiadi hanno mostrato lo sdegno unanime – o quasi – delle potenze occidentali di fronte alla violazione dei diritti dei gay. I media, giustamente, hanno riportato le notizie con dovizia di particolari. Silenzio tombale, invece, sulla nuova e inquietante repressione in cui rischia di sprofondare il Brunei. Che si debbano aspettare i primi morti?

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