Il dia de los muertos ai tempi del Covid-19: come cambiano le tradizioni
Il covid-19 ha portato alla rimodulazione della vita quotidiana, a nuove paure, diverse accortezze, a farci assimilare gesti che prima baipassavamo o davamo per scontati. La didattica, il lavoro, i rapporti interpersonali, le tradizioni. Tutto è cambiato. La pandemia globale che ci ha colpiti ha messo un muro tra le persone impedendo il contatto fisico, ci ha interdetto gesti così comuni e semplici come una stretta di mano e il susseguirsi di atti che da secoli uniscono con un filo invisibile le persone: come i festeggiamenti legati al dia de los muertos.
In particolare la città di Pomuch, culla di una tradizione antica quanto i maya, ha risentito di questa pandemia. Infatti in questa città ogni anno durante il dia de los muertos si pratica la pulizia delle ossa. Tutto inizia l’ultima settimana di ogni ottobre, i familiari dei defunti si recano nel colorato cimitero di Pomuch e le tombe vengono aperte. Inizia così il rituale della pulizia delle ossa. Solitamente le tombe vengono aperte 3 o 4 anni dopo la morte del familiare, quando la carne si è decomposta. La tradizione vuole che si inizi dagli arti inferiori per la pulizia, fino ad arrivare alla testa, poi le ossa vengono riposte nella loro cassetta di legno, rivolte verso l’entrata dell’ossario e rivestite da un fazzoletto ricamato a mano dal familiare più prossimo al defunto, che viene cambiato ogni anno. I ricami richiamano l’antica tradizione maya. In occasione del giorno dei morti anche la città viene tirata a lucido, gli spiriti al loro arrivo dovranno trovare il paese pulito, altrimenti saranno loro stessi a renderlo tale e se questo accadesse sarebbe segno di disgrazia. La pulizia della città inizia solitamente circa dieci giorni prima del dia de muertos, ma quest’anno le cose sono andate diversamente.
Jesus Alfredo Euan Xool, con origini maya e abitante di Pomuch, ci ha raccontato il sapore diverso del dia de los muertos oggi.
“Quest’anno 2020 la popolazione di Pomuch, ma non solo, affronta una nuova pandemia, che ha provocato una dozzina di morti, e come le altre ha avuto un impatto non solo economico ma anche culturale. Poiché il COVID-19 è un nuovo tipo di coronavirus e non esiste un vaccino, il settore sanitario ha vietato di tenere a casa coloro che sono morti per questa malattia e la cremazione dei corpi è obbligatoria. Molte persone che praticano il rito della pulizia delle ossa, si sentono tristi, perché chi ha perso una persona cara, a causa della pandemia, non sarà in grado di eseguire questo rituale in futuro. Si perderà la tradizione tipica e unica di questo paese, il culto e la connessione con il mondo dei defunti che viene praticato attraverso la pulizia delle ossa: quando una persona muore, viene sepolta normalmente in una cassa di legno e dopo tre anni le sue spoglie vengono rimosse, i parenti vanno al cimitero pregando e rimuovono il corpo e lo puliscono con panni bianchi per purificarlo, lo mettono in un ossario che poi viene posto in un loculo aperto, una nicchia. Successivamente, ogni anno i parenti eseguiranno la pulizia delle ossa, ma la pandemia da COVID-19 è arrivata a spezzare questo filo culturale. Le persone si lamentano di non essere più in grado di venerare i loro morti con i rituali che meritano, poiché tutti quelli che muoiono a causa di COVID-19 vengono cremati. La gente di Pomuch non può più guardare o dire addio ai propri cari. Quest’anno il giorno della morte di Pomuch avrà uno scenario molto triste; per paura del contagio, sarà un giorno molto doloroso, invece di essere una festa gioiosa e allegra. Alcune famiglie metteranno solo i loro altari, con il cibo sulla tavola, ma non potranno incontrarsi come gruppo familiare, o portare fiori al cimitero. Il dia de los muertos in Messico è realmente un giorno di incontro fisico fra i vivi e i morti secondo l’antichissima tradizione maya. Almeno la mietitura del mais è stata raggiunta e si potrà preparare il pibipollo (il piatto tipico e rituale della tradizione del giorno dei morti) ma avrà un sapore diverso, quasi amaro, perché non ci sarà la riunione di famiglia, i discorsi familiari, non ci si siederà ad aspettare le anime che vengono a godersi il loro cibo e il banchetto che viene preparato per loro ogni anno; quello che risuonerà quest’anno e che tutti ora avranno in mente è la frase nazionale contro la pandemia “stai a casa, stai a casa“.”
Ma quella da Covid-19 non è la prima pandemia che il popolo di Pomuch, ma non solo, si trova a dover affrontare: ”Sin dai
tempi preispanici, i Maya hanno subito catastrofi naturali, malattie, guerre come la conquista spagnola e la guerra delle caste, hanno anche affrontato epidemie, come il vaiolo e l’influenza spagnola. Durante tre secoli coloniali le epidemie hanno avuto un grande impatto sul popolo Maya. A Campeche alla fine del XVIII secolo, precisamente nel 1779, fu creato un ospedale per i malati di lebbra. La lebbra è stata una delle prime epidemie a raggiungere l’area Maya. A Pomuch tre pandemie hanno colpito la popolazione in modo catastrofico. Nel 1917 il vaiolo passò attraverso i mercanti e i militari uccidendo un numero considerevole di persone: questa malattia sfigura il viso e nella maggior parte dei casi causa la morte. L’entità di questa malattia a Pomuch era così letale che nel cimitero non c’era spazio e le autorità scelsero di seppellire le persone nei loro cortili. Secondo la tradizione orale, i nonni raccontano che le persone che sono riuscite a sopravvivere a questa pandemia lo hanno fatto avvolgendosi in foglie di banano, considerate curative. Nel 1918 l’influenza spagnola (infrenza) arrivò attraverso i movimenti militari del paese e nello specifico ci fu una guerra nel ranch Blanca Flor situato a 20 chilometri da Pomuch. Tutto ciò ha causato la diffusione dell’infezione da spagnola, che ha ucciso un vasto quantitativo di popolazione, intere famiglie… si tratta della peggior pandemia che questo popolo abbia subito. Nella memoria orale, i nonni dicono che nessuno voleva nemmeno toccare chi era morto di influenza spagnola; afferravano i machete e tagliavano le braccia delle amache e i corpi cadevano a terra, poi li legavano a dei bastoni di zaramullo e li portavano al cimitero. Non c’erano preghiere, non c’erano rituali, le persone avevano paura e si dimenticavano i rituali. Non c’era tempo per mettere i defunti in un loculo, furono gettati in fosse comuni. Nei casi in cui moriva l’intera famiglia, l’intera casa veniva bruciata e si continuava a cercare altri morti. Questa epidemia ha portato le persone a non seminare e c’è stata una brutale carenza di cibo, le persone hanno mangiato il frutto dell’albero chiamato ramón per sopravvivere. Nel 1930 un’altra epidemia arrivò nella città di Pomuch, il morbillo e, come l’influenza spagnola, i morti furono sepolti in fosse comuni.”
La storia ci ha insegnato che le malattie, le guerre, le catastrofi vanno e vengono. Lasciano dietro di loro morte e dolore, ma quando il filo della tradizione è forte e radicato negli animi di chi la coltiva non si spezza.
Tutti i diritti delle foto sono riservati a Cristina Cosmano.
Le foto per ovvi motivi non sono state scattate durane l’anno corrente.
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