La Fiorita della piana di Castelluccio, il “Piccolo Tibet” italiano
I Monti Sibillini, scrive Guido Piovene, sono “i più leggendari dell’Italia del centro”.
Non necessariamente nel senso di famosi. Ma perché hanno dato vita a miti, leggende, racconti magici e iniziazioni negromantiche come pochi altri luoghi: la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato, tra il tardo Medioevo e il Rinascimento, sono stati meta di pellegrinaggi proibiti, tanto da farli paragonare a quello che nell’antichità furono i Campi Flegrei, l’antro della Sibilla Cumana e il Lago di Averno.
Forse a questa fama magica e misteriosa ha contribuito anche la piana di Castelluccio di Norcia, dove da secoli va in scena, da maggio a luglio, lo spettacolo maestoso e rarefatto della “Fiorita” che accompagna la coltivazione della lenticchia. Anche lì, in quello che è stato definito il “Piccolo Tibet italiano”, da tempo immemore l’attività umana s’intreccia con quella delle fate.
Una pianta magica
Già la lenticchia, di per sé, possiede doti magiche. Le sue proprietà nutrizionali la rendono da sempre un cibo per i poveri, e i poveri, si sa, sognano di diventare ricchi: così nell’antica Roma c’è chi associa la forma tonda e lenticolare del legume a una fortuna di monete, tante monete, come ancora facciamo noi a Capodanno. Ma c’è anche chi invece l’affianca a perdite e eventi nefasti: perché Esaù, ex primogenito di Abramo, vendette al fratello Giacobbe nientemeno che il diritto ad essere il capostipite del popolo d’Israele, in cambio del famoso piatto di lenticchie.
Fatto sta che la lens culinaris è stata una delle prime piante ad essere addomesticate dall’uomo, fin dal neolitico. Un motivo ci sarà.
La fioritura: non solo lenticchie
Ogni anno tra il Pian Grande e il Pian Perduto ai piedi del Monte Vettore – e del boschetto a forma d’Italia piantato per il centenario dell’Unità d’Italia, nella Festa della Montagna 1961 – nelle poche settimane tra fine giugno e inizi di luglio in cui la verde Umbria diventa fantasmagorica, più di duecentomila persone vengono a vedere “la fioritura delle lenticchie”. Anche se le lenticchie c’entrano solo in parte.
La cosiddetta lenticchia di Castelluccio ha una buccia molto fina ma estremamente resistente. Non teme il tonchio, un coleottero ghiotto di lenticchie, resiste bene al freddo e alla siccità ed è pianta molto rustica; caratteristiche che le consentono da sempre di fare a meno di diserbanti e fitofarmaci. Così la crescita è associata a decine di specie spontanee, le cui fioriture si alternano e si combinano con quella bianca della lenticchia: alla raccolta, tutto ciò che non è legume sarà ottimo foraggio per gli animali. C’è il rosso dei papaveri, il viola dei fiordalisi, il giallo della senape, il bianco della camomilla. E poi tutte le sfumature di genzianelle, narcisi, violette, lupinelle, asfodeli, acetoselle, in appezzamenti di limitate dimensioni, perché la produzione non è a carattere industriale e l’unità di misura è l’opera, 600 metri quadri, cioè il terreno lavorabile a mano in una giornata. Il risultato è un mosaico di colori cangianti, una geometria di rettangoli tessuti come in un patchwork, un kilim iraniano, un disegno di Missoni, di Klimt, insomma fate voi. E si tratta di una vista stupefacente.
Antichi riti: fate, Carpirine, Ponzio Pilato
Sono state le fate a insegnare alla gente di qui come fare. Con il permesso della Sibilla, scendevano a valle con i piedi di capra nascosti da lunghe vesti, e ballavano il saltarello con le Carpirine, le mondine della “lenta” venute da tutto l’ascolano. Seducevano gli uomini e rubavano i cavalli, a cui annodavano le criniere in treccine, insegnavano a suonare l’organetto ma prima dell’alba dovevano tornare dalla maga. Qualcuno tentava di seguirle, perché erano bellissime, e si diceva che la Sibilla stessa dispensasse ogni sorta di piacere sensuale; ma nessuno faceva mai ritorno. Tra coloro che tentarono l’incontro ci fu anche Benvenuto Cellini, ma non gli riuscì e tornò spaventatissimo.
Si diceva di un gran viavai da queste parti sul finire del Medioevo. Tra le voci che si erano sparse, c’era anche quella che il corpo di Ponzio Pilato, condannato per la crocefissione di Cristo, fosse stato portato fin qui su un carro trascinato da una coppia di buoi; i quali, visto un laghetto poco lontano, ci si buttarono dentro con tutto Pilato (da allora il lago porta il suo nome): lì sono le porte dell’Inferno, e lì andavano in gran segreto maghi e negromanti in pellegrinaggio, per fare i loro sortilegi. Avversatissimi da preti e abitanti: pare che ancora nel 1892 un malcapitato botanico, venuto fin qui a studiare la particolarissima flora, venisse scambiato per un mago dai locali, linciato e ridotto in fin di vita.
Il primo maggio di ogni anno, quando a 1452 metri sul livello del mare i ghiacci si sono appena sciolti e comincia la semina della lenticchia, qualche vecchio ancora ripete l’antico rituale propiziatorio: per preservare il raccolto da tempeste, siccità, fuoco e cavallette pianta nel campo una croce fatta di ramoscelli, sparge a terra acqua santa e carboni benedetti recitando litanie a San Benedetto e Santa Scolastica. A fine giugno le donne, meno sensibili ai sincretismi pagano-cristiani, per lo stesso motivo si recano in processione a Norcia, proprio alla chiesa di Santa Scolastica, a chiedere acqua per il raccolto e protezione per tutte le fasi della raccolta: carpitura, ricacciatura, trita, scamatura, conciatura. La Santa sa.
La lenticchia di Castelluccio
Per tutelare il prodotto si usano anche metodi meno suggestivi: ad esempio, dal 1997 la lenticchia di Castelluccio è protetta dal marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Molte altre varietà di lenticchie italiane godono di analoghe forme di protezione, codificate dai relativi disciplinari di coltivazione: c’è la lenticchia di Colfiorito, di Leonessa e di Onano; c’è quella di Altamura, di Ustica e perfino quella di Ventotene; alcune sono anche presidio Slowfood. Quella di Castelluccio si distingue per la buccia molto sottile, che ne consente la cottura in 20-30 minuti senza il preventivo ammollo, per questo particolarmente digeribile, di colore giallo ocra e rigorosamente bio. Provatela nella ricetta della Zuppa di lenticchie alla Castellucciana; oppure nel piazzale Monte Vettore, ai piedi di ciò che rimane di Castelluccio di Norcia dopo il terremoto del 2016, dove resiste un’eroica offerta tipica, in attesa di tempi e di location migliori.
Se quest’anno vi siete persi la fioritura, potete vedere la gallery delle foto di tutti gli anni passati. Certo che vederla dal vivo è tutta un’altra cosa: l’anno prossimo pensateci per tempo, evitate le domeniche per non incastrarvi per ore sulle strade di accesso, e pensate che ogni anno lo spettacolo cambia (e anche la fioritura: per tenerla d’occhio c’è una webcam che trasmette in diretta). La lenticchia, infatti, è pianta azotofissante, che è un’altra parola magica per dire che migliora il suolo anziché impoverirlo, favorisce la rotazione delle colture, delle semine e quindi anche dei colori. La composizione cromatica della Fiorita non è mai la stessa.
Pare che anche in questo ci sia lo zampino, anzi lo zoccolo, delle fate, le bellissime fanciulle dai piedi di capra.
Tutte le foto sono di Sergio Celestino