Lockdown e inquinamento: due valori inversamente proporzionali
La pandemia causata dalla diffusione del Covid-19 ha determinato severe misure di contenimento, richiedendo a diversi paesi un fermo e deciso Stop. Il blocco della mobilità, delle industrie -eccezione fatta per la filiera agroalimentare e quella farmaceutica- e dell’inarrestabile macchina di consumismo con cui siamo abituati a convivere, ha avuto due enormi effetti globali: il contenimento dei contagi provocati dal Covid-19 e una riduzione delle morti causate dal biossido d’azoto.
Il biossido d’azoto: un veleno che respiriamo e che produciamo noi.
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente ogni anno circa 400 mila persone muoiono in maniera prematura a causa dell’inquinamento dell’aria. Il lockdown ha determinato un calo del 40% nei livelli di biossido d’azoto. La principale fonte di emissione degli ossidi di azoto è il traffico veicolare; a seguire gli impianti di riscaldamento, le centrali per la produzione di energia e le industrie. Il biossido di azoto è un inquinante ad ampia diffusione che ha effetti negativi sulla salute umana e, insieme al monossido di azoto, contribuisce ai fenomeni di smog fotochimico e piogge acide. Questo contaminante rappresenta una delle maggiori criticità di Roma. Il limite di 20 μg/m³, stabilito l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato diverse volte superato. Stando ai dati dell’ARPA -Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio- ad oggi il valore del biossido di azoto nell’aria è nettamente sotto la soglia del limite di legge.
Solamente in Pianura Padana si è stimata una diminuzione del 50% rispetto ai valori medi di biossido di azoto presente nell’aria. Il dato emerge dalle analisi del Sistema nazionale di protezione ambientale, elaborate grazie ad una nuova piattaforma in grado di integrare i dati forniti dal Il Programma Europeo di osservazione della terra Copernicus e dai dati raccolti sul territorio dalle Agenzie per la protezione dell’ambiente delle regioni. (ARPA e APPA). La prima analisi degli effetti sulla qualità dell’aria è iniziata in seguito all’adozione delle misure di limitazione della mobilità in Lombardia e Veneto, ovvero a partire dal 23 febbraio. L’andamento dei valori medi evidenzia una progressiva riduzione dell’inquinamento diffuso proprio in seguito alle restrizioni imposte in Lombardia e Veneto. I valori mediani di tutte le stazioni di monitoraggio in queste aree sono passati da quantità comprese tra 26/40 microg/m3 nel mese di febbraio, a 10 /25 microg/m3 nel mese di marzo.
Nella Capitale le concentrazioni medie di questo inquinante sono diminuite del 45%. Secondo il Crea -Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria- il lockdown avrebbe alleviato anche altri problemi di salute legati all’inquinamento quali: asma e nascite premature. Questo avrebbe contribuito ad alleggerire i sistemi sanitari nelle aree con la più alta incidenza di queste problematiche, che coincidono con le zone più colpite dal Covid-19.
Coronavirus e inquinamento: che legame hanno?
New Scientist, il settimanale inglese di divulgazione scientifica, ha passando in rassegna diversi studi che hanno come oggetto il presunto collegamento tra inquinamento e tasso di mortalità di chi contrae il covid-19.
Marco Travaglio, dell’Università di Cambridge, ha pubblicato su new scientist i risultati della ricerca condotta con il suo team che ha analizzato i livelli di biossido di azoto e di monossido di azoto in diverse zone. Dalla ricerca sembra emergere una connessione tra i livelli più elevati di inquinamento dell’aria e il tasso di infezione e mortalità del Covid-19. “Abbiamo analizzato i dati raccolti da oltre 120 stazioni di monitoraggio in tutta l’Inghilterra per raccogliere informazioni sul tasso di infezione e di mortalità del coronavirus in base alla qualità dell’aria. Saranno necessari ulteriori studi per confermare questi dati: dobbiamo cercare di rintracciare la causa della correlazione, più che un’eventuale prova a riguardo. Ad ogni modo le condizioni di salute che conseguono all’esposizione prolungata ad ambienti con scarsa qualità dell’aria sono notevolmente simili a quelle che provocano vulnerabilità al coronavirus.” Afferma Travaglio, mentre il dottore Benjamin Barratt precisa: “Non abbiamo ancora una risposta definitiva, per sapere se l’inquinamento può influire nella diffusione e nella pericolosità del virus saranno necessari i rapporti più dettagliati. Non è irragionevole ipotizzare che i danni di salute derivanti dall’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico possano rendere le persone più vulnerabili, ma non possiamo ancora trarre conclusioni affrettate”.
Uno studio simile è stato portato avanti dai ricercatori dell’Università Martin Luther di Halle-Wittenberg, in Germania. Anche in questo caso Yaron Ogen, che ha guidato la ricerca, ha affermato che i risultati evidenziano come “un’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico potrebbe essere un fattore rilevante nell’aumento della mortalità”.
In Danimarca, il gruppo di ricerca di Dario Caro dell’Università di Aarhus, ha osservato come ”Gli abitanti nelle zone più inquinate avevano un livello più elevato di cellule infiammatorie delle citochine, il che li rende potenzialmente più vulnerabili al nuovo coronavirus”.
Ad oggi la regione più colpita d’Italia si trova in una delle aeree più inquinate della penisola, ovvero la Pianura Padana. Anche se attualmente non vi è ancora la certezza di una relazione causa-effetto tra mortalità del virus e inquinamento, impegnarci per mantenere pulita la nostra aria, e non solo, per proteggere la nostra salute e l’ecosistema è un dovere più che impellente.
Ma quali soluzione concrete possiamo attuare per rendere più sostenibile il nostro stile di vita, sopratutto tenendo conto dell’impianto urbanistico preesistente del territorio?
Prendendo in considerazione la struttura del territorio romano, abbiamo fatto questa domanda all’ingegnere edile-architetto Gabriel Titire, nonché presidente dell’associazione Nàima per la promozione e ricerca di soluzioni per lo sviluppo sostenibile e l’efficienza energetica.
“Innanzitutto bisogna immaginare e credere che una società più equa sia possibile. Bisogna essere motivati e consapevoli. Consapevoli che le città sono organismi complessi, frutto dell’interazione di forze diverse e spesso contrastanti (cittadini, governo, natura, mercato, finanza etc.) e che qui, per forza di cose, ci troveremo ad analizzare e proporre soluzioni per un ambito limitato. Soluzioni che, per essere implementate, dovranno essere messe a sistema con altri fattori che influenzano la vita nelle città.
Partiamo da alcuni dati:
Stime dell’ONU, prevedono che la popolazione del pianeta (attualmente 7.7 miliardi di persone), entro il 2050 arriverà a 9.7 miliardi. Di questi 9.7 miliardi, il 68% vivrà in città, quindi 6.6 ca. miliardi di persone. Mentre oggi ne vivono circa 4.23 miliardi. Entro il 2030, quindi tra 10 anni, si prevede che il mondo avrà 43 megalopoli con più di 10 milioni di abitanti, la maggior parte delle quali in regioni in via di sviluppo. Guardando a casa nostra, al giorno d’oggi è stimato che circa il 70% della popolazione vive in ambito urbano e l’andamento indica che entro il 2050 questa percentuale salirà a circa 80%. Queste previsioni non risparmiano naturalmente la nostra Capitale, che, data la rilevanza a livello mondiale, continuerà ad attirare tra le sue braccia un numero sempre maggiore di persone.
Più cittadini implicherebbero, tra le altre cose, più consumi, più emissioni di CO2, più inquinamento da polveri sottili e quindi maggiori problemi di salute sia per l’uomo che per l’ambiente. Questo sarebbe il futuro che ci aspetterebbe se non imparassimo nulla da ciò che il lockdown ci ha insegnato essere possibile: sposare il lavoro con un netto abbassamento delle emissioni dannose a noi ed al pianeta.
Non dobbiamo quindi tornare ai nostri uffici quando ciò è dimostrato non essere più indispensabile: lo smart-working funziona e va difeso. Mentre per chi ha dei lavori che implicano spostamenti va garantita e promossa la possibilità di muoversi con mezzi a bassa o nulla impronta ambientale.
Nello specifico, sui difficili colli di Roma, si dovrebbe implementare fortemente la rete tramviaria in superficie, coniugandola con il verde: tale rete dovrebbe sposarsi con un sistema di HUB per la condivisione di mezzi elettrici o biciclette. Naturalmente l’infrastruttura della viabilità dolce, andrebbe fortemente incoraggiata ed implementata. Dovremmo cominciare a considerare di primaria importanza la possibilità di spostarsi senza inquinare, sacrificando perciò coraggiosamente molte strade dedicate al solo traffico veicolare. E’ di primaria importanza perciò un cambiamento delle priorità.
Questo cambiamento però non deve essere imposto dall’alto, deve essere condiviso. Sono i cittadini per primi a doverlo volere e fa far sentire la propria voce attraverso i comitati di quartiere e varie associazioni che, in una Roma apparentemente in decadenza, stanno mostrano la parte bella dell’essere insieme, uniti e pronti a costruirci un futuro più salutare, equo e sostenibile.“
Su uno dei social più utilizzati non era raro, durante i mesi di lockdown, incappare in stories di persone che decantavano i colori del cielo. Perché forse un cielo così limpido non si era mai visto per davvero. E allora perché non impegnarsi per mantenerlo tale? Il tema toccato mette in luce solo una piccola parte delle problematiche legate all’inquinamento che ogni giorno produciamo, ma ha comunque innumerevoli conseguenze, sull’ambiente e sulla nostra salute. Tutti i fattori inquinanti in sinergia creano scenari disastrosi. Bisogna anche riflettere sullo sfruttamento continuo della Terra e sulla conseguenza che questo ha sul regno animale, in quanto tutte le specie di esseri viventi sono connesse tra loro, esseri umani compresi. Un danno nel delicato ecosistema della fauna equivale ad un danno per la nostra salute: basti pensare che ad oggi la diffusione e la smisurata crescita degli allevamenti intensivi è una delle principali cause di diffusione di malattie animali -zoonosi- e di passaggi di virus provenienti proprio dagli animali agli uomini con la conseguente diffusione di epidemie o, appunto, pandemie. Utopico pensare che vivere in lockdown possa essere la soluzione per riuscire a salvare il pianeta in cui viviamo e la nostra qualità di vita, ma senza ombra di dubbio può aver innescato una nuova consapevolezza: vivere rispettando quello che ci circonda senza forzare troppo la mano della produttività ieri era un ragionevole consiglio, oggi è diventato un obbligo nei confronti della nostra salute e della sopravvivenza delle nuove generazioni.
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