La Gola del Furlo. Storie e farse di alto profilo
Il Passo del Furlo, nelle Marche, è una delle tante meraviglie dell’Italia meno conosciuta. Eppure da qui è passata la storia
Raccontare di viaggi, in questi giorni di isolamento e di movimento limitato, può sembrare surreale, come tutto il resto. Perfino fuori luogo, forse. Oppure, al contrario, un segno di speranza e di sguardo al futuro. E visto che non ci si può muovere, anche di evasione: viaggi, escursioni, gite, avventure in luoghi di cui per ora – ma solo per ora – si può soltanto sognare, raccogliendo immagini e ispirazioni. Ecco, quando tutto sarà passato, e quando la voglia di muoversi a lungo compressa sarà incontenibile e gioiosa, un posto che dovreste assolutamente vedere, camminare, respirare e degustare è la Gola del Furlo, nelle Marche.
Un’Italia divisa a metà (Est e Ovest)
Siamo abituati a immaginare l’Italia divisa tra Nord e Sud. Eppure, nell’antica percezione della penisola, molto più dei punti cardinali ha pesato la grande barriera degli appennini. Una invincibile muraglia che ha storicamente separato il Tirreno e l’Adriatico, l’Ovest e l’Est, generando culture e mentalità molto diverse. E anche civiltà con ambizioni territoriali assai interessate al controllo e alla sistemazione dei valichi montani. Un’opera per niente semplice.
Già gli etruschi, che fondarono Gubbio ma anche Bologna, si erano occupati di alcuni sentieri a strapiombo sulle pareti rocciose scavate dal Candigliano, affluente del Metauro tra Ikuvium e le terre dei Piceni. Sentieri sospesi su precipizi di 70-80 metri, dove è facile franare giù, finire sotto qualche Caduta Massi o essere accoppati dai briganti. I Romani hanno mano più pesante, e Gaio Flaminio nel 220 a.c. trasforma il sentiero in Via Flaminia, con poderosi muri di sostegno alti anche 30 metri, i parapetti, un piccolo traforo; poi Augusto, con la scusa di importanti lavori di manutenzione ci mette la solita lapide puntata e incomprensibile AUG IMP PONT TRIB POT ecc.. Tutto scavato a mano. Pare che per ammorbidire (si fa per dire) la roccia calcarea ci accendessero dei grandi fuochi e poi la bagnassero con acqua e aceto, chissà.
Insomma, la Flaminia diventa troppo importante e Vespasiano, quello degli orinatoi, ci fa scavare una galleria lunga 40 metri e alta 6 dove si passa con la macchina ancora oggi; e se non lo sai, sembra una normale galleria (eppure ce l’ha scritto pure lui: VII IMP XVII P P COS VIII ecc., più chiaro di così).
Dove la storia è di Passo
Dopo se lo sarebbero litigato tutti, quel passaggio nei pressi del piccolo buco, il forulum: i romani nell’ultima disperata difesa dello stato, i Goti, i Longobardi, i Bizantini, con tutte le loro schiere di soldati, appestati, mendicanti e puttane. Quando ci passano il Barbarossa, Federico da Montefeltro o Giulio II, la Flaminia è sempre uno strategico corridoio tirreno-adriatico; ma è tornata ad essere un malfermo viottolo a precipizio sulle scure acque del Candigliano. Il segno dei tempi è che l’antica stazione di posta con le guardie e tutto, venuto meno uno stato in grado di garantire sicurezza, già dal ‘400 è diventata la chiesola di S. Maria delle Grazie. Come a dire: qui non c’è più nessuno ad aiutarvi; fatevi una preghiera e passerete incolumi. Speriamo.
Il passaggio è obbligato per tutti gli invasori diretti a Roma dall’Europa centrale e orientale. E nel 1849 uno sfigato manipolo di eroi, volontari della Repubblica Romana, tentano di fermare al Passo del Furlo gli austriaci, lanciandogli i sassi in testa (purtroppo non funzionerà).
Profili del Novecento
La notorietà arriva, o ritorna, nel ‘900. Nel ’19 si comincia a costruire la diga con la centrale idroelettrica. Negli anni ‘20 un iracondo maestro di Predappio, datosi alla politica romana con una certa fortuna, per tornare a casa in Romagna deve per forza passare di qui con la sua Alfa Gran Sport, e si ferma spesso all’Albergo Ristorante Antico Furlo (oltre 50 volte, dicono). La voce si sparge. C’è sempre qualcuno che si apposta per chiedere cose, secondo l’indomito italico costume: un figlio da far lavorare alla diga, una pratica da sveltire, il telefono che non c’è, la strada per le cave che fa schifo. Agli operai che si incollano la pietra a dorso di mulo allora viene un’idea brillante: secondo un’altra antica inclinazione nazionale, per facilitare l’istanza – o per riconoscenza al capo, secondo alcuni – salgono sul monte Pietralata e, dove togliendo roccia, dove costruendo muri, realizzano un enorme profilo (“dal mento alla fronte 180 metri, scrivono orgogliose le cronache) del faccione del predappiese. Il quale non ne è affatto entusiasta.
Non certo per modestia. Il fatto è che l’alto profilo del monte è orizzontale, e pare che il faccione stia dormendo mentre, com’è noto, lui “non dorme ma veglia sui destini d’Italia”. Ma l’albergatore del Furlo, tale Candiracci che nel frattempo gli aveva donato le chiavi della sua stanza migliore – “venga quando vuole, Eccellenza” – è dotato di presenza di spirito e gli risponde che non è che dorme, è proteso verso il cielo a vegliare sui destini dell’aviazione. Quello la trova una buona risposta, ordina dodici uova al tartufo e riparte (tutto vero: si sentirà anche male, e la Milizia verrà a controllare l’albergo per sospetto avvelenamento).
Il profilo assume una tale rilevanza simbolica che secondo la leggenda sarà Churchill stesso a chiedere di farlo saltare in aria; ci si accaniscono le cannonate della brigata Majella, il partigiano Bruno Bocchio con la dinamite e il Ministero dei Lavori Pubblici, che dopo la guerra ne finanzia la definitiva demolizione “per motivi di sicurezza”. Adele Bei, proprio lei senatrice comunista di Cantiano, farà dirottare quei soldi per cose più utili, come il rifacimento della strada delle cave. Ogni tanto qualcuno se ne esce con la proposta di restaurarlo, ancora oggi, vuoi per turismo vuoi per nostalgia. Intanto il tempo e la natura fanno il loro dovere, gratuitamente.
Quando tutto sarà passato
I sentieri del Furlo, oggi tutelato dalla Riserva Naturale Statale, sono tutti piuttosto facili e brevi (un paio d’ore al massimo). C’è però il n.449 che invece di costeggiare le placide acque del Cantigliano, che oggi formano un ameno laghetto color verde serpentino, salgono alla “Terrazza del Furlo”. Da lì c’è un panorama incredibile sulle balze, sul volo delle aquile, sul canyon che fu ancora più profondo, sulla diga, su Acqualagna, paese natale di Enrico Mattei. Con un po’ di tramontana, a sinistra, si può persino vedere l’Adriatico.
Giunti alla terrazza cosiddetta, probabilmente addenterete il vostro panino, che sopporterete di buon grado perché a cena vi aspettano il tartufo nero, lo zafferano rosso, il maiale trionfante in tutte le sue forme e colori. Ripenserete alla quarantena come a un tempo fortunatamente lontano e irreale, un po’ come certe vicende della storia patria. Vi sederete a mangiare pane e prosciutto su uno strano muro a strapiombo, dei ferri affioranti, senza apparente utilità.
Quel muro era lungo 38 metri. Era il naso del maestro di Predappio.