10 anni con I Rio: intervista a Fabio Mora
Sospesi tra un fiume e l’altro, messicano o emiliano che sia, I Rio, instancabili concertisti, sono in tour da ottobre 2013 per proporre il loro quinto album, Fiori. Dall’atmosfera estiva delle loro melodie, traspare un eccezionale ottimismo, che in questi anni grigi sembra quasi una parolaccia. 19 singoli più 10 anni di carriera, per 4 componenti.
Fabio Mora, Fabio Ferraboschi, Alberto Paderni, Giovanni Stefani. I Rio non hanno fatto rumore sui canali d’informazione eppure portano il segno di una grande esperienza e onestà musicale. Quando escono allo scoperto lo fanno con successo: Fabio Ferraboschi, ad esempio, ha scritto il testo di Invisibili che De Andrè ha portato sul palco del Festival di Sanremo, vincendo il premio della critica. Fabio Mora, voce del gruppo, parla dei Rio con entusiasmo e consapevolezza. Ecco cosa ha detto. {ads1}
Comincio da un mio ricordo. Era il 3 giugno 2006, Ligabue portava sul palco dello Stadio Olimpico di Roma il Nome e Cognome Tour. Voi aprivate il concerto e io non avevo ancora finito la scuola. Quanto sono cambiati i Rio da allora?
Parecchio. Abbiamo vissute esperienze importanti che ci hanno segnato, un viaggio in Messico, quello per la memoria ad Auschwitz. Figli, persone che abbiamo perso per strada, cambiato formazione, tutte cose che ci hanno fatto crescere. Certo, rimaniamo sempre quegli incoscienti del 2004, sul palco rock and roll e goliardia. Diciamo che cerchiamo di divertirci e di far divertire le persone, perché altrimenti smetteremmo di fare questo mestiere. Nel 2014 cerchiamo di farlo in modo più adatto alla nostra età e alla nostra crescita, sia musicale che personale.
In una recente intervista hai detto che “La solarità è la base portante della filosofia dei Rio”. Nel singolo Terremosse però si parla del terremoto che ha colpito l’Emilia. Bella impresa quella di trattare un tema drammatico con un tono leggero. Come siete riusciti a mantenere la vostra cifra?
Il terremoto l’abbiamo vissuto in prima persona, è una delle esperienze dolorose di cui parlavo prima. In quel periodo stavamo registrando Fiori. Nel 2012 siamo stati in studio da febbraio a giugno. Il terremoto si è fatto sentire a maggio. Abbiamo partecipato a diversi eventi di beneficenza, ma era il caso di fare qualcosa di più. Quando ci è stato chiesto di scrivere una canzone per una rete di imprese che hanno subito ingenti danni dal terremoto, è stata la prima volta che abbiamo scritto una canzone ad hoc. Ma la difficoltà era: come scriverla? Con quale punto di vista? La metafora della storia d’amore fra il girasole e il sole ci sembrava la via giusta. Da una parte la forza degli emiliani, dall’altra il domani.
Terremosse è molto diversa da Domani 21.04.09, che parla di un altro terremoto, quello de L’Aquila. Non è una canzone drammatica.
Io non sarei mai riuscito a scrivere un pezzo del genere. Quando sei molto coinvolto emotivamente in una vicenda, parlo personalmente, difficilmente riesci a staccarti dall’evento. Io sono così: se mi capita qualcosa devo mettermi subito in piedi, perché se faccio in tempo a sedermi, ho paura di non rialzarmi. Non ti nascondo che ci è voluto parecchio tempo per comporre la canzone. Abbiamo mantenuto una cifra pop, perché in fondo, è quello che siamo. Pur nella tragedia, volevamo raccontare qualcosa di positivo.
“Piacere a tutti non è un mio problema, piacere a tutti è una malattia” è il ritornello di 150, un pezzo di un paio d’anni fa. I Rio ne sanno qualcosa?
150 era dedicata all’Unità d’Italia, ma certamente per quanto riguarda il gruppo posso dire che I Rio sono piaciuti a tanta gente, ma sono anche stati sulle palle – scusami l’eufemismo – a tanti altri. Ci hanno dato dei raccomandati per tanto tempo, ma sinceramente sono parole che ci siamo lasciati scivolare addosso. Proprio per il carattere che abbiamo, guardiamo il nostro e basta. Abbiamo fatto la nostra storia e il nostro viaggio, quello che conta è che dopo 10 anni siamo ancora in giro. Fidati che di cose ne abbiamo viste.
Che peccato sentire queste parole…
Ma sai, noi non abbiamo mai raggiunto al livello popolare quella visibilità che un gruppo con la nostra storia avrebbe potuto avere. Abbiamo raccolto sia gioie che dolori. Poco tempo fa, durante il Festival di Sanremo, leggevo su facebook un commento buono e cinque negativi sulle canzoni. E’ come se non ci fosse più nessuno che mette d’accordo tutti. A parte il periodo che stiamo vivendo, che ha portato a un imbarbarimento totale, non c’è davvero qualcosa che riesca a mettere d’accordo le persone.
Aprendo solo una parentesi, basta pensare a quello che è successo all’Oscar.
Esatto, è quello a cui stavo pensando. Dopo che è uscito il film ho scritto un post su facebook sul fatto che in Italia se superi il 51% di gradimento, hai fatto qualcosa di buono. Se sei sotto questa soglia, ti massacrano. Eppure non tutti si rimboccano le maniche per fare meglio di quelli che, volenti o nolenti, portano a casa dei risultati.
Vi siete esibiti in Messico, Brasile e Inghilterra, siete in giro da ottobre con un tour in 30 tappe, vi apprestate al grande concerto al Forum di Assago a Milano il 14 marzo. Cosa rappresenta per voi il palco?
Per noi è la nostra vita. Siamo zingari dentro e I Rio sono un gruppo che vive prevalentemente dal vivo, in mezzo alla gente, in mezzo alla strada. Mi piace scrivere le canzoni in studio, ma deve essere un periodo breve, altrimenti finisce che ti racconti una storia da solo.
Facendo un giro tra i video del gruppo, ho notato che sei anche regista di alcuni di loro (Un giorno alla volta, Terremosse). Da dove nasce questo interesse?
Sono stato sempre un modesto appassionato del cinema e dell’immagine. Mi ricordo che avevo il muro della stanza coperto da foto di cantanti, musicisti, pose, trucchi. Poi ho avuto la possibilità di lavorare con bravissimi registi, quindi già dal primo video, ho messo tutte le idee che avevo. Il problema era filtrare queste idee attraverso un occhio esterno; spesso il risultato non era come lo avevo immaginato. L’incontro con Gianni Gaudenzi è stato il punto di svolta perché io e lui vediamo le stesse cose. Una bella sfida perché dai testi dei Rio non era facile trarre dei video. Nel tempo ho capito che l’Italia è un paese attirato dalla malinconia.
Dopo aver aperto per anni i concerti di Ligabue, avete lanciato un contest per la band di supporto che si esibirà al concerto del 12 aprile. In cosa consiste?
Ma una sera casualmente eravamo in un locale e ho chiamato il fonico sul palco a cantare con me. Serviva un brano che potessimo conoscere in due e abbiamo fatto un pezzo di Elvis. L’idea è piaciuta tanto che ogni sera chiamavamo a suonare con noi i vincitori di un contest su facebook. Poi mi sono reso conto che 3 minuti per questi ragazzi erano davvero troppo pochi, quindi ho pensato, perché non creiamo una band che suoni con noi in chiusura del tour? Ho voluto che l’emozione del palco durasse di più per loro.
Sul web si parla di misteriosi progetti futuri…
Il 21 marzo è il primo giorno di primavera. I Rio ci sono particolarmente affezionati, per cui ci sarà una sorpresa su youtube per i nostri fan. Di più non posso dire.