Il Turkmenistan, dove brucia la porta dell’inferno
Dovreste ricordare che cos’è il Mongol Rally e anche chi sono i Kokparbrother, ed il Kokpar; nel caso in cui non fosse così facciamo un breve riepilogo.
Il Mogol Rally è una gara benefica non competitiva durante la quale i partecipanti attraversano circa 20 paesi e due continenti a bordo di una mezzo che ha compiuto almeno 10 anni di età.
I kokparbrother sono Cristina Cosmano e Fabrizio Finocchietti, team nostrano che ha tagliato il traguardo quest’anno, ma non solo; durante la loro folle avventura ci hanno mostrato attraverso i loro scatti lo sport tradizionale dell’Asia Centrale: il Kokpar.
Grazie alle foto di Cristina Cosmano è proprio qui che ci soffermeremo, nell’Asia centrale, precisamente nel Turkmenistan.
C’era una volta un presidente che cambiava i nomi dei mesi e dei giorni
La storia del territorio turkmeno inizia nel periodo che va dal 7000 al 5000 a.C. Questo paese vide la successione di diverse dinastie (gli Achimenidi, Alessandro Magno ed i Parti); poi, durante il VII secolo, vi fu l’avvento dagli arabi che diffusero la religione islamica. Il dominio arabo decadde nel XI secolo, da quel momento in poi si susseguirono diversi imperi, fino al XIII secolo, quando il Turkmenistan finì sotto la guida di Gengis Khan. I mongoli dominarono per 150 anni l’area, che successivamente passò nelle mani di Tamerlano; fino al XIX secolo, quando la Russia conquistò il territorio. Dopo la Rivoluzione russa del 1917, il Turkmenistan divenne la Repubblica Socialista Sovietica Turkmena.
Il 1991 fu l’anno che segnò il crollo dell’Unione Sovietica, così il Turkmenistan conquistò l’indipendenza, per poi finire sotto le mani di Nyyazow, capo di stato che diffuse letteralmente il culto della sua personalità. Infatti Nyyazow era segretario del partito comunista sovietico, e dall’epoca dell’URSS si portò dietro il culto della personalità. Riscrisse la storia con il Ruhnama, libro tradotto in 40 lingue la cui lettura venne resa obbligatoria per tutti i giovani turkmeni, in cui il capo di stato fece risalire le radici del popolo turkmeno direttamente a Noè; e nel 2002 cambiò i nomi dei giorni della settimana e dei mesi: gennaio passò a chiamarsi come lui, febbraio divenne Baydak, in ricordo del giorno della bandiera nazionale, che coincideva con il giorno del suo compleanno. I giorni della settimana divennero primo, secondo e terzo, il giovedì “giorno della giustizia” ed il venerdì Anna. A suo piacimento indiceva dei divieti: gli uomini non potevano portare i capelli lunghi e la barba, le donne della tv di Stato non potevano truccarsi, l’opera lirica ed il circo erano distrazioni non necessarie insieme al cinema. Qualche tempo dopo segnò anche la fine del balletto. Nyýazow bandì persino i cani, allontanati dalla capitale perché non ne sopportava l’odore. Dopo la sua morte nel 2007 si sono svolte le prime elezioni non a candidato unico che hanno visto la vittoria dell’ex dentista, diventato poi statista, Gurbanguly Berdymukhamedov il cui colore preferito è il bianco, quindi dalla città sono state bandite tutte le auto di colore nero.
La “porta dell’inferno” che brucia in Turkmenistan da 48 anni
Ma il Turkmenistan non è fatto solo dalle assurdità dei suoi capi di stato, infatti è la seconda potenza economica dell’Asia centrale grazie alla coltivazione del cotone e ai giacimenti di gas naturali. Proprio la ricchezza del terreno di gas naturali ha portato alla creazione della porta dell’inferno: un cratere che brucia nel bel mezzo del deserto del Karakum da ben 48 anni.
Nel 1971 i sovietici impiantarono nella zona dove si trova attualmente il cratere una piattaforma di perforazione per trovare il petrolio. Le trivelle raggiunsero una sacca di gas naturale causando il crollo del terreno e di tutte le attrezzature. L’incidente non causò vittime però, per evitare possibili feriti a causa dei gas sprigionati dal sottosuolo, il cratere venne incendiato nella speranza che le fiamme avrebbero esaurito la riserva di gas. Ad oggi il cratere continua ad ardere, si trova a 260 chilometri dalla capitale Ashgabat e non lontano dal villaggio di Derweze, che in italiano significa “porta”.
Il sapore del tè ed i patrimoni dell’umanità in Turkmenistan
Come per tutti i paesi ben lontani dalla cultura occidentale, è sempre un bene avvicinarsi alla loro conoscenza da viaggiatori e non da turisti; per esempio è bene abbandonare il sapore del caffè per quello del tè, bevanda tradizionale in Turkmenistan e non solo. Ricordiamo, per l’appunto, le parole di Cristina Cosmano: “[…]il tè… è una cosa che ci ha accompagnato per tutto il percorso e che è diventata un’abitudine oltre che un rituale. Ci ha accompagnati nei pasti e nei momenti di incontro con la gente, nel riposo e nei risvegli, per strada e nei mercati era sempre presente… Nella sua semplicità davvero è stato un filo conduttore.” Oltre a quello del tè verde, dei sapori comuni al Turkmenistan e agli stati limitrofi sono quelli del plov, riso condito con spezie e frutta secca e la surba, minestra a base di legumi e agnello.
Se si alza lo sguardo dal piatto si possono ammirare i patrimoni dell’UNESCO presenti in Turkmenistan: Kunya Urgench, i monumenti presenti nel centro storico della città, situata nel nord-ovest del Paese, sono una dimostrazione tangibile dell’antica eccellenza architettonica e culturale dell’asia centrale. Il Parco storico e culturale di Stato “Antica Merv”, la città-oasi più antica e meglio conservata lungo la Via della Seta; ed infine la Fortezza di Nisa.
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