Lezioni di birra a Plzen, capitale della pils
Il panorama urbano delle città storiche della Boemia è caratterizzato da torri. Uno skyline fatto di guglie puntute, di campanili a cipolla, di torrioni di difesa; e una ciminiera.
Non è un lascito del socialismo reale, che contrapponeva spesso autostrade e cattedrali, fabbriche e sinagoghe, carri armati e monumenti equestri. E’ la ciminiera del birrificio comunale, così antico da avere un posto tra le torri antiche della città. Nel tempo in cui dall’Alsazia ai paesi baltici tutto aveva un nome tedesco, l’odierna Plzen in repubblica Ceka si chiamava Pilsen: e se oggi la ‘media chiara’ o lager che si ordina al pub quando non si sa cosa prendere si chiama pils un motivo c’è, e a Pilsen-Plzen ve lo spiegano nel birrificio della Pilsner Urquell (e anche nel locale Museo della birra).
Un popolo di produttori di birra
Un tempo anche a Plzen ogni famiglia produceva la propria birra, un po’ come in Friuli ognuno si faceva la grappa in casa. Un’esigenza basilare in molte città del centro Europa, un modo per disporre di un liquido potabile laddove montagne e sorgenti erano lontane: su circa 300 famiglie a Plzen si contavano più di 230 licenze comunali. Ma il prodotto era spesso scadente e l’igiene scarsa, con conseguenze sulla salute pubblica tali da spingere le autorità municipali a ritirare tutte le autorizzazioni e a convogliare i produttori, cioè praticamente tutte le famiglie, verso birrifici sociali da gestire in forma cooperativa.
Accadeva a fine settecento. I nuovi birrifici diventavano costruzioni in mattoni, eleganti e sobrie, con un’ampia corte interna per le carrozze e il carico e lo scarico delle merci: monumenti a una nuova era di efficienza e igiene, nonché di governance urbana -si andava verso l’età dei lumi. E per spingere lontano i fumi dalla città, una ciminiera alta finché statica consentiva.
Succede allora che nel 1840 il direttore del birrificio di Plzen, desideroso di migliorare il prodotto ed evidentemente non antitedesco, aggancia Jozef Groll, uno dei migliori mastri birrai di Baviera; quello viene a Plzen, che all’epoca era sotto gli Asburgo, e applica il metodo bavarese utilizzando ingredienti ceki. Il risultato -una birra da 4,4 gradi alcolici, leggera e dissetante, floreale e leggermente amara, dalla schiuma densa e cremosa- è talmente convincente che la birra di Pilsen viene esportata in tutto il mondo e diventa semplicemente pils, cioè una lager chiara a bassa fermentazione. Il suo segreto, a quanto si dice, pare essere l’acqua – quando una cosa viene bene e non se ne sa bene il motivo, o non si vuole rivelare, il segreto sta sempre nell’acqua, o nell’aria, come nel caffè napoletano. Un altro degli elementi dello skyline di Plzen è proprio l’elegante torre-serbatoio dell’acqua, che data al 1842.
Pilsner Urquell, “la migliore pils del mondo”
La Pilsner Urquell (che in tedesco vuol dire Fonte originale di Plzen) produce solo da Plzen, unico luogo al mondo a disporre della preziosa risorsa acquifera, per oltre un milione di ettolitri l’anno. Il birrificio è oggi la principale attrazione turistica della città, che pure è stata capitale europea della Cultura nel 2015 e vanta numerosi monumenti come la chiesa di San Bartolomeo, la Grande Sinagoga e le case dalle eleganti facciate sulla grande Piazza della Repubblica. Le linee di produzione che si visitano sono tutte attive, comprese le affascinanti cantine: chilometri e chilometri di cunicoli in cui la birra non pastorizzata fermenta a contatto con l’aria a 10 gradi centigradi in botti di rovere, aperte superiormente – un anziano signore dall’aria buona e mesta ve ne spillerà un bicchiere, ma solo uno. Durante la visita si immergono le mani nei barili di orzo alle varie tostature e si stringe tra le dita il luppolo di varietà Zatec (Saaz in tedesco), dal profumo intenso e pungente, e si capisce finalmente cos’è il malto, cioè orzo che sta per germogliare: è questo stadio a dargli il massimo della carica zuccherina, che poi si trasformerà in alcol.
Nell’ampio cortile, dove in estate si tengono anche concerti ed eventi ma di giorno manovrano i camion, c’è anche l’accesso al ristorante Na Spilce, una pivovar che è probabilmente il miglior indirizzo in città per assaggiare arrosto di maiale, stufato di cervo e gnocchi di pane. Magari la cosa vi deluderà, ma oggi la Pilsner Urquell è di proprietà giapponese, come le pagode, Goldrake e la Peroni.
De gustibus birrarum
Per chi scrive la pils sta alla birra più o meno come il Gotto d’Oro sta al vino. Rispettabilissima, intendiamoci, ma di gusto poco complesso e di scarsa struttura; certo, come dicono quelli che ci capiscono, assai beverina (ma che parola orribile). Roba che può scorrere a fiumi alle feste del liceo, che gonfia pancia e vescica e incoraggia gare da tenersi in allegra compagnia, e discipline che possono premiare arditezza delle gittate o intensità sonore, a seconda dell’età e della conformazione dei partecipanti.
A birre di tutt’altra fatta, complesse, meditative e forse per questo predilette da spiriti più saggi e intimisti -e forse per questo anche un po’ più agé– LineaDiretta24 dedicherà presto un apposito reportage (ma che bella parola).