Musical: intervista a Roberto Recchia
Abbiamo intervistato l’attore e regista Roberto Recchia, adattatore della versione italiana del musical I love you, you’re perfect, now change! in cartellone a Broadway per più di 10 anni e ora ripresentato nella formula di Musical da camera al Teatro Delfino di Milano. Ailoviu…sei perfetto, adesso cambia! sarà in scena dal 13 al 23 marzo.
Allora Roberto, puoi darci una definizione di musical “da camera”?
Ci siamo chiesti: a che genere appartiene Ailoviù? In Italia dici “musical” e tutti pensano ai grandi titoli di Broadway, ma all’estero la scena musicale è molto più variegata. E non mancano centinaia di titoli che, pur con meno pretese spettacolari, puntano tutto alla sostanza. Ailoviù è uno di questi. Un musical con quattro attori brillanti, un regista esperto, un testo brillante, belle canzoni, una mini-orchestra. Da camera, appunto.
Si suppone dunque che preveda la stessa difficoltà, se non maggiore, del fratello più celebre. Cosa è stato più difficile tra cantare, coordinarsi con i colleghi e impersonare tanti ruoli diversi?
Non userei l’aggettivo “difficile” per nessuno dei tre aspetti. Forse l’unica vera sfida è la fatica fisica, ma è talmente piacevole lavorare in questo spettacolo che l’unica cosa veramente difficile è smettere.
Ci dobbiamo aspettare grossi cambiamenti rispetto all’originale I love you, you’re perfect, now change! rimasto per 10 anni in cartellone a Broadway?
Direi di no, anche se nella prosa abbiamo adattato qualche battuta a una realtà più vicina al pubblico italiano. Nel tradurre le canzoni ovviamente mi sono preso molte libertà per esigenze metriche, ma sempre rispettando lo spirito e il senso originale. Del resto il tema dello spettacolo, i rapporti tra uomini e donne, ha il grande vantaggio di essere universale e creare identificazione ad ogni latitudine.
La prima parte è dedicata alla ricerca dell’amore, mentre la seconda alla fase “decadente” del matrimonio e della routine che prende il sopravvento… è sempre tempo per cantare o con le farfalle nello stomaco è più facile?
Ailoviù, dopo due ore di sberleffi alla faccia degli innamorati, si chiude con una tenerissima scenetta in cui due anziani vedovi si incontrano per caso a un funerale e decidono, senza rinnegare i loro amori passati, di innamorarsi di nuovo. E nel farlo, cantano. Direi quindi che “è sempre tempo di cantare se si sentono le farfalle nello stomaco”. Tanto, sempre per citare Ailoviù, “ci ricadrai!”. {ads1}
Il musical, a differenza di altri prodotto e generi teatrali, non sembra attraversare alcuna crisi di interesse. Qual è il segreto secondo te?
Domanda da un milione di dollari. Io ricordo che mio padre, quando nei film cominciavano a cantare, alzava gli occhi al cielo e urlava: “No! Di nuovo!” Eppure davvero il musical annovera un numero enorme di estimatori. Forse perché ha raccolto l’eredità dell’opera lirica, con autori a volte geniali che riescono a soddisfare tutti i gusti, dai più popolari ai più sofisticati. E perché la musica, come la panna in cucina, riesce a legare e amalgamare armonicamente tutti gli ingredienti, anche i più indigesti.
Lungo la tua carriera hai avuto anche esperienze come regista di titoli operistici. E’ questa la tua grande passione?
Diciamo che innanzitutto è una delle mie grandi passioni da spettatore. E il mio rammarico è che, occupandomene professionalmente, ho ormai un po’ perso quell’età dell’innocenza quando sedermi in un teatro d’opera era davvero un evento magico. Oggi difficilmente riesco a farmi rapire completamente da uno spettacolo.
Pensi che il musical sia avvantaggiato rispetto all’opera nella fruizione “in larga scala”?
C’è musical e musical. Sondheim, nonostante lo Sweeney Todd cinematografico, rimarrà sempre un autore di nicchia. Però l’opera lirica, anche la più popolare, paga lo scotto di una lingua molto meno immediatamente comprensibile. Ai tempi di Monteverdi o di Cavalli, i loro titoli erano i musical dell’epoca. Oggi le feroci dispute tra i tradizionalisti e gli innovatori non fanno che confermare che, purtroppo, l’opera è morta. Ma per sapere se il vantaggio del musical sia davvero così solido dovremo aspettare quattrocento anni.
Speriamo di esserci allora e magari farci un’altra chiacchierata!
Per concludere… le tre cose a cui non rinunceresti mai?
L’affetto dei miei cari, il teatro e una persona che risponda per me a domande così difficili.