Strega Bistrega: dalla parte del pubblico

Com’è strano a vedersi dall’alto il pubblico del Teatro Centrale Preneste. Quelli che sembrano lunghi intervalli di sedie vuote sono invece spettatori di un metro e poco più, gli stessi bambini che fino a poco prima affollavano il piazzale davanti al teatro in una domenica romana dai colori primaverili.

 Una bambina sdraiata per terra attira subito l’attenzione del padre: che peccato sporcare quei capelli lunghissimi sulle mattonelle! A interrompere il tram-tram di cappotti e borse, l’ingresso di Tiziana Lucattini, che da svariati anni guida questa oasi su via Alberto da Giussano che è il Centrale Preneste. Invitando tutti al silenzio, introduce la rappresentazione con un richiamo alla favola Il bambino nel sacco che Italo Calvino nel 1956, dopo un lungo lavoro, durato circa due anni, trascrisse nella raccolta delle Fiabe italiane.

 

Si spengono le luci, tranne quelle, sempre meravigliose, disegnate sul palco da Martin Beeretz. Comincia lo spettacolo. Sulla scena si muovono maldestramente Strega Bistrega (Fabio Traversa) e sua figlia, Margherita Margheritone (Cora Presezzi). Aprono e chiudono porte, salgono sugli alberi, mescolano intrugli nel calderone, sbadate e goffe, questi due caratteri non sono le streghe diaboliche dei fratelli Grimm, ma piuttosto due naufraghe di un’epoca di glorie magiche, oggi destinata all’estizione, che affannosamente cercano di dare risposta a un vitale quesito: “Cosa mangiamo oggi?”. Niente di meglio di un bel bambino succulento. {ads1}

Il pubblico rumoreggia, ride dell’ingenuità delle streghe che si lasciano facilmente beffare da Pierino Pierone, talmente inafferrabile da comparire sulla scena solo sullo schermo. I piccoli spettatori sembrano avere pietà delle miserie delle due disgraziate, addirittura un bambino si alza dalla prima fila e va verso gli attori gridando “E’ scappato, è scappato” e così gli fanno eco tutti i bambini del teatro, mentre sullo schermo Pierino sfila i lacci del sacco in cui è intrappolato. Più giù un altro, più grandicello, alza le braccia: “Scusa, ti posso dire una cosa…”, ma la rappresentazione procede spedita, fra gli equivoci e le incertezze delle due protagoniste. Del resto ai bambini è concesso tutto, anche sgranocchiare patatine in busta nel buio di un teatro. Tuttavia quando Margherita sembra soccombere all’astuzia di Pierino, non vola una mosca, tutti trattengono il fiato: fortunatamente solo un sogno, ma nella versione di Calvino l’elemento violento, tipico di molte fiabe italiane e straniere, viene preservato.

Una volta rinunciato al proposito di cucinare Pierino, lo spettacolo si avvia verso una felice conclusione: salvo il bambino, salva la stirpe delle streghe, la morale, più implicita che nell’originale, sfugge all’ovvietà. Diversamente da quel capolavoro che è Bambina Mia (LEGGI LA RECENSIONE), in questo spettacolo la comunicazione verbale si fa molto intensa, quasi ostica. La narrazione onirica dei vari accidenti segna un confine labile tra verità e fantasia e sottrae la rappresentazione a un’interpretazione univoca, cosicché al pubblico viene lasciato il compito di dare alla vicenda una chiave di lettura soggettiva. Una suggestione fondamentale che lascia ampio spazio all’incompreso e al dubbio, così importante in un mondo di bambini da educare, istruire, indottrinare, addomesticare. Eppure il riscontro non manca. Arianna, 4 anni, lo sguardo più vivace del mondo “E’ stato fantastico, mamma!”, dice, mentre si avvia verso la merenda domenicale.

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