Cinquant’ore, al Teatro Tordinona una delle più brutali pagine della nostra storia
Durante i terribili anni del Secondo Conflitto Mondiale, innumerevoli sono stati i crimini di guerra perpetrati ai danni delle popolazioni che ebbero la sfortuna di trovarsi sulla strada di tedeschi e truppe alleate. Tra i più indicibili reati di violenza e sopraffazione, quello delle cosiddette “marocchinate” è senza dubbio uno degli episodi rimasti più impressi nella memoria collettiva per la ferocia, la bestialità e la violenza con cui il contingente marocchino dell’esercito francese, tra il 13 e 14 maggio 1944 si fece artefice del peggiore dei crimini: cinquant’ore di stupri, omicidi e saccheggi consumati nei territori della Ciociaria, nel basso Lazio. Cinquant’ore di “carta bianca” che il generale Juin concesse ai Goumier qualora fossero riusciti a sfondare la linea Gustav, quella linea fortificata che divideva la penisola italiana sfruttando gli ostacoli naturali costituiti dalle montagne appenniniche, al fine di ritardare l’avanzata degli alleati. Vincitore del premio “Luci sul Proscenio 2018” fondazione Annita Favi, Cinquant’ore è un breve e intenso spettacolo scritto e ideato dall’attrice e regista Olimpia Ferrara, in scena al Teatro Tordinona fino al prossimo 31 maggio.
Originaria di Esperia, uno dei territori della provincia di Frosinone maggiormente colpiti dalla tragedia delle “marocchinate” l’autrice ha raccolto la testimonianza di Teresa, una ragazza che – come migliaia di altre donne, anziane e bambine- fu vittima dei brutali stupri di massa del maggio 1944. In un denso monologo di una ventina di minuti Teresa, una strepitosa Maria Teresa Campus, non racconta la violenza carnale subìta, ma svela i retroscena di quello che accadde dopo quel tragico evento, quando le donne violentate furono travolte da un oltraggio se possibile ancor peggiore, quello morale. Le donne “marocchinate” divennero infatti una vergogna per le famiglie, da coprire e negare. Chi non morì sotto l’impeto della violenza, rimase incinta, contrasse la sifilide o fu ad ogni modo marchiata a vita. Coloro che denunciarono furono allontanate dal tetto coniugale, ripudiate, trattate come appestate, portandosi addosso quella “colpa” infame.
Tratto da una storia tristemente vera, Cinquant’ore fa riflettere su quel tragico episodio di 74 anni fa, reso noto al mondo grazie al film La Ciociara di Vittorio De Sica del 1960, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Una brutale pagina di storia resa ancor più atroce dalla mancanza di solidarietà nei confronti delle vittime e dall’impunità del contingente marocchino, oltre che dall’entusiasmo con cui il generale Juin motivò i suoi uomini rassicurandoli che non avrebbero mai dovuto rispondere a nessuno dei loro atti bestiali. Una pagina orrenda, efferata e vergognosa che non si può e non si deve dimenticare.
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