Dessì, Sicilia, statuto e delazione, la settimana del m5s
Dessì, Di Benedetto, la delazione nel Veneto e la proprietà della piattaforma Rosseau. Nelle ultime ore la campagna elettorale del Movimento 5 stelle ha dovuto affrontare diverse polemiche, alcune create dagli avversari, altre da “fuoco amico”. Andiamo per ordine. Emanuele Dessì, attivista della prima ora e candidato al Senato è nell’occhio del ciclone per una serie di notizie che lo riguardano. Prima per un video che lo ritrae con uno dei membri del clan Spada con il quale balla “Happy”. In realtà la difesa di Dessì in questo caso è molto convincente. Lo Spada del video è un pugile, Dessì un ex pugile ed insegnante di pugilato, lo stesso
Spada venne premiato dal Ministro Del Rio, quindi ci sono foto che li ritraggono insieme, non vuol dire nulla. Ma i giorni difficili per Dessì non finiscono qui. Qualcuno tira fuori un suo vecchio tweet nel quale si vanta di aver picchiato un ragazzo rumeno. Anche in questo caso l’interessato si difende ed il Movimento fa quadrato. Nel racconto di Dessì il rumeno avrebbe insultato per strada lui e la moglie con epiteti irriguardosi, lui si è limitato a difendere la sua consorte e non si può di certo biasimarlo per questo. Ma in questo percorso ad ostacoli quotidiani arriva il macigno per Dessì. Vien fuori che vive in una casa popolare del Comune di Frascati pagando un affitto ridicolo di 7 euro e spicci al mese. E rappresentare un partito che è contro i privilegi e godere di un privilegio così enorme fa specie. Lui si difende, la casa è abitata dalla sua famiglia, prima la nonna e poi la madre, dagli anni ’40, lui risulta nullatenente, quindi pagava così poco ma lui stesso, bontà sua, aveva chiesto l’adeguamento del canone a 200 euro. Il Comune di Frascati conferma che Dessì non risulta moroso (e ci mancherebbe) e che in effetti paga quel canone. La cosa, rilanciata dalla trasmissione Piazza Pulita, diventa pubblica ed imbarazzante per tutto il movimento. Di Maio e la Lombardi non lo difendono più a spada tratta ma chiedono si faccia chiarezza, ma resta comunque in corsa.
Dalla corsa si ritira invece Chiara Di Benedetto candidata al Parlamento nel collegio di Bagheria. Già coinvolta nello scandalo delle firme false in Sicilia, a proposito, la Magistratura ha di recente confermato che le firme false accertate sono più di mille, la Di Benedetto lascia il M5s in polemica col suo ormai ex partito del quale, dice, non riconosce più i valori originari. L’aver candidato ex del Pd e di altre forza politiche cozza, per lei, con l’idea originale che si aveva del Movimento. “Mi trovo in una forza politica che avrebbe dovuto cambiare il sistema e ci si è adagiato sopra, dove i candidati vengono scelti perché amici di qualcuno. Si organizzano cordate per i voti online, infangando gli avversari, mentendo e poi imbarcando ex del Pd e di altri partiti”, ed aggiunge “In questo movimento i candidati da mettere in lista vengono scelti perché sono amici di qualcuno, perché un portavoce ha garantito per loro. Chi può, chi è vicino ai vertici, cerca di garantire l’elezione dei propri fedeli uomini, organizzando cordate per le votazioni online, denigrando e infangando altri candidati, mentendo spudoratamente, dimostrando tutta l’ipocrisia di un partito che inneggia alla trasparenza ma che poi muove le carte sottobanco”. Un distacco totale che mette in dubbio i principi fondativi del movimento stesso.
Ed appare perlomeno strano anche quanto si è appreso, grazie ad un’inchiesta del Foglio, quanto si è appreso sulla proprietà della piattaforma Rousseau e del controllo dei dati che in essa confluiscono. Il Foglio è riuscito a venire in possesso dello statuto dell’Associazione Rousseau della quale Casaleggio è presidente. Da statuto i Casaleggio padre e figlio erano soci fondatori, consiglieri d’amministrazione e tesorieri dell’associazione stessa. Alla morte di Gianroberto è rimasto tutto nelle mani del figlio che così è socio, presidente, tesoriere e consigliere. Da solo. E solo l’assemblea, che è solo lui, può decidere di inserire nell’organigramma del partito nuovi soci. La proprietà ed il controllo della piattaforma sono quindi della famiglia Casaleggio e vengono trasmesse per via dinastica. Ovviamente questo cozza con i discorsi sulla democrazia dal basso ed in questi giorni si polemizza anche sulla mancata pubblicazione dei dati delle Parlamentarie, la cui pubblicazione è continuamente rinviata senza un’apparente ragione. Oggi si dice per la privacy. Il risultato di una votazione non può essere reso pubblico per la privacy? La privacy di chi? In ogni caso, sempre da quanto si apprende dai documenti in possesso del Foglio, Casaleggio stesso ha il controllo di tutti i dati, la piattaforma non è anonima. Circostanza inizialmente negata, poi ammessa anche se precisando che Casaleggio poteva controllare i dati, ma non lo aveva fatto, ammettendo poi alla fine di averlo fatto. Nel mentre il parlamentare Toninelli, che ultimamente viene mandato spesso in avanscoperta per difendere l’onorabilità del movimento facendo pessime figure, nega l’esistenza dello statuto stesso, salvo poi tacere quando lo statuto viene reso pubblico.
L’ultima polemica settimanale sul movimento riguarda un messaggio mandato in una chat di candidati veneti nella quale Ferdinando Garavello, responsabile della comunicazione, invita i candidati ad improntare la loro campagna elettorale non sui programmi da loro proposti, ma sulla delazione degli avversari. Foto compromettenti, nefandezze, notizie imbarazzanti, qualunque cosa pur di mettere in cattiva luce gli avversari. Il messaggio si conclude con un imbarazzante ”Buon divertimento”. Garavello non ha negato ma si è difeso dicendo che si tratta di “un’operazione trasparenza” perché è giusto che i cittadini sappiano chi vogliono votare. Certo è che per un movimento che vuole essere rivoluzionario sarebbe meglio illustrare che genere di rivoluzione vogliano fare, quali sono i programmi, cosa intendono fare in caso di vittoria, piuttosto che trovare uno degli avversari con le dita nel naso. Insomma ci sarebbe piaciuto di più un confronto sulle idee e le proposte piuttosto che far partire l’ennesima macchina del fango, un modo vecchio di fare politica che stride con l’immagine di novità che il movimento stesso ha sempre voluto dare. Del resto anche i 7 euro di affitto di Dessì non suonano proprio come anti-casta.
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