Il Padre, Gabriele Lavia porta in scena la tragedia di Strindberg
Cosa vuol dire essere un padre? Cosa può significare per un uomo mettere in dubbio la paternità di una figlia che ha cresciuto ed educato con amore e dedizione? Dopo aver portato in scena il suo magnifico Uomo dal fiore in bocca, il maestro Gabriele Lavia torna sul palco del Teatro Quirino con Il Padre di August Strindberg, tragedia del 1887 a cui Lavia è particolarmente affezionato tanto da confrontarvisi per la terza volta, qui in replica fino al prossimo 4 febbraio.
Come tutta l’opera dell’autore svedese anche Il Padre riesce a scavare in profondità nella natura umana, facendo emergere senza mezzi termini la spietata crudeltà, il cinismo e l’egoismo di cui è capace una donna, così come tutta la fragilità e l’angoscia di un uomo nel momento in cui le certezze su cui si fonda tutta la sua esistenza vengono meno. Prendendo come pretesto una banale diatriba familiare sul tipo di educazione da impartire alla figlia Berta quasi adolescente, il Capitano Adolf e sua moglie Laura (Federica Di Martino) tirano fuori il peggio di sé stessi e le ceneri di un matrimonio ormai logoro e inaridito che si regge solo sulla dipendenza economica della donna dal marito, per combattere la loro guerra a colpi di vigliaccherie e sopraffazioni. Pur di tenere la figlia accanto a sé e non mandarla a studiare in città come invece vorrebbe il padre, più aperto e moderno, la gelida Laura è pronta a tutto, persino a instillare nella mente del marito il più atroce dei dubbi: quello sulla sua stessa effettiva paternità, cosa che lo priverebbe legalmente di ogni diritto e dovere nei confronti di Berta. Un dubbio che porterà il capitano Adolf ad un lungo e devastante calvario mentale, al venir meno di ogni autorità, fino a farlo precipitare nel profondo abisso della follia.
L’efferata strategia della moglie, portata a termine con l’inconsapevole complicità del medico del paese che conferma l’instabilità mentale dell’uomo, ribalta completamente i ruoli tra i due: da donna fin’ora sottomessa e dipendente dal marito, diventa colei che lo condanna a soccombere, a sprofondare, ad impazzire, fino ad annientarlo completamente. Nonostante lo spettacolo abbia un ritmo a tratti molto lento, la capacità interpretativa di Gabriele Lavia lascia ancora una volta senza fiato, la potente scenografia di drappi di velluto rosso porpora avvolge totalmente lo spettatore, mentre il precario mobilio sbilenco trasmette benissimo tutta l’instabilità di questa famiglia, di questo salotto borghese, della stessa esistenza.
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