Riva di Chieri: chiude stabilimento Embracou
Ci siamo. Dopo mesi di incertezze, paure e inquietudine è arrivata la temuta notizia: l’Embraco, storica azienda oggi appartenente al gruppo della multinazionale Whirlpool ha prospettato licenziamenti collettivi per 597 lavoratori nella sede di Riva Presso Chieri. Attraverso una nota la società del torinese ha annunciato la volontà di dismettere la produzione nello stabilimento di Riva Presso Chieri “mantenendo comunque una presenza in Italia”. Probabilmente quella sulle spiagge italiane dei capitani d’industria, arricchiti dai saggi di profitto tenuti alti dagli eserciti di riserva dell’est Europa.
I lavoratori dell’Embraco presidiavano i cancelli del loro capannone da mesi, controllando quotidianamente che i padroni non dismettessero le linee portandole altrove. Ora la decisione, presa probabilmente oltreoceano da un management fantasma, di avviare la procedura sindacale per la cessazione di produzione nello stabilimento di Riva. 497 famiglie al fresco in un comune di 4000 persone: un eccidio.
I dipendenti di Embraco avevano trascorso il capodanno in fabbrica insieme a sindacalisti e famiglie nella speranza di un nuovo anno migliore: ora rischiano, nella migliore delle ipotesi, un dimezzamento del personale. Anche se lo spettro del licenziamento collettivo è dietro l’angolo, pronto a essere azionato nella stanza dei bottoni di qualche colosso a più piani in una metropoli brasiliana o statunitense.
“L’Italia -recita una nota dell’azienda- rimane un Paese importante per Embraco che manterrà qui una presenza con un ufficio commerciale al fine di continuare ad assistere la propria clientela”. Talmente importante che la società produttrice di compressori di frigoriferi è pronta a cancellare la produzione per delocalizzare in uno stabilimento slovacco.
Secondo il Manifesto la speranza sarebbe riposta in Calenda, che attraverso un azione politica potrebbe prospettare all’azienda una fine meno indecorosa dello stabilimento di Riva, “una soluzione non brutale come quella che si prospetta”: tale soluzione non potrà che rientrare, purtroppo, nella brutale cornice del mercato del lavoro odierna euroindotta da regole folli. Quella del lavoro come merce, trattata alla stregua di ogni altro bene o servizio.
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