“Non è mai troppo tardi” conquista la tv
Ha raggiunto il 21,06 % di share la fiction Non è mai troppo tardi. La vita su Alberto Manzi ha conquistato ben 5 milioni e 931 mila telespettatori, battendo sia Il Tredicesimo. La rivelazione su Canale 5 sia lo speciale di Ballarò su Rai 3.
Il pubblico italiano si dimostra, in questo modo, più interessato a ciò che l’Italia ha fatto di buono nel passato piuttosto che a ciò che sta tentando di costruire adesso. Dopo cena, la famiglia italiana vuole mettere in pausa la complicata situazione politica di questi giorni per “cullarsi” in una favola risalente a ben cinquant’anni fa. Alberto Manzi va, infatti, collocato alla nascita della televisione italiana. Il maestro dall’animo volenteroso aveva intuito la forza influente del nuovo mezzo televisivo, diffondendo la sua professione attraverso il tubo catodico. Non è mai troppo tardi è il programma che Manzi presentò dal 1960 al 1968 in una fascia preserale, in modo che anche chi tornava da lavoro potesse parteciparvi. Le puntate erano delle vere e proprie lezioni in cui si tentava di insegnare a leggere e a scrivere agli italiani, quando la scuola dell’obbligo non era sufficientemente frequentata. “Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” era il sottotitolo a questa trasmissione che intendeva abbassare il livello di analfabetizzazione del nostro paese. Grazie ad Alberto Manzi, e a Oreste Gasperini e Carlo Piantoni che parteciparono all’ideazione, l’istruzione divenne accessibile a tutti contribuendo all’unificazione culturale tramite l’insegnamento della lingua italiana. {ads1} «Alberto Manzi è un maestro che ai bambini non insegna nozioni ma a pensare. Lavora con loro per formare uomini liberi, capaci di scelte libere, e per farlo lotta con tenacia contro ogni ostacolo», sono le parole di Giacomo Campiotti che ha diretto le due puntate. E’ con questa idea di innovazione che viene raccontata la storia di Alberto Manzi. La fiction sottolinea l’aspetto non tradizionale del suo insegnamento, che in tv si serviva di filmati, bozzetti a carboncino da lui stessi creati e supporti audio. La vita lo ha messo nelle condizioni di trovare soluzioni alternative ai metodi classici. Dalla prima diretta del programma nel 1960, il regista torna alle origini della sua carriera, mostrandoci una Roma del dopoguerra in cui padroneggiava la fame e la presenta dei soldati alleati. Il giovane Alberto Manzi si presenta insofferente alle prepotenze dei più forti nei confronti del più debole. Lui stesso si trova escluso dalla graduatoria per l’insegnamento a causa dei favoritismi di chi comanda. Proprio la sua intransigenza lo porta alla sua prima esperienza come maestro: all’interno di un carcere minorile. Qui, per motivi di sicurezza, non sono permessi fogli di carta e matite. Manzi si trova, in questo modo, costretto a trovare soluzioni alternative. Per attirare l’attenzione di quei ragazzi non servirà il metodo imparato al liceo, ma una sintonia d’animo profonda. Davanti ai suoi futuri alunni si presenta come un delinquente, al loro stesso livello. La chiave per conquistarli è conoscere la loro storia e le loro problematiche, tentando di dare loro i mezzi per essere indipendenti. {ads1} «E’ un personaggio che mi ha commosso appena ho letto la sceneggiatura. Per tutta la vita ha cercato di risvegliare le persone, aprire loro la mente, e lottato per ridare dignità a chi non aveva possibilità di studiare. Nei rari momenti in cui si autocelebrava, diceva: “Il mio modo di insegnare è avanti di 50 anni alla scuola”. Visto come sta la scuola oggi, direi che stava avanti almeno 100 anni. Lui aveva capito che la guerra nasceva dall’ignoranza e, attraverso la scuola, ha cercato di creare una società migliore. Nelle sue classi c’era posto anche per chi suggeriva perché lui voleva una società in cui ci si aiutasse a vicenda», ha commentato l’attore Claudio Santamaria. La dignità dell’uomo prima di ogni cosa. Con questa filosofia Alberto Manzi arriva a cancellare l’analfabetizzazione a più di un milione di persone. Anche il diffidente direttore del carcere, interpretato da Giorgio Colangeli, si convincerà dell’efficacia dell’insegnamento di Manzi. Concederà loro fogli e matite e un giornalino su cui stampare le riflessioni dei ragazzi. La prima puntata termina con questa decisiva esperienza, che lo porterà alla laurea in pedagogia e alla diffusione ad altri maestri del suo metodo di insegnamento. Ben calibrati i momenti sulla vita privata del maestro e su come rincontra la sua amata Ida (Nicole Grimaudo). In questa storia la Rai ha svolto un ruolo importante e, in questo senso, Non è mai troppo tardi è anche la Rai che celebra se stessa. Questa sera la seconda e ultima puntata di una fiction che, con efficacia, si è conquistata il pubblico italiano.