Basilica di Collemaggio: giubileo e rinascita
“ Poscia c’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui che fece
per viltade il gran rifiuto”.
(Dante Alighieri , III canto Inferno – Divina Commedia)
Basilica di Collemaggio. L’Aquila, 19 Dicembre – Il lungo esilio molla gli ormeggi di ingiuriose e divine “viltade” e annuncia, trionfale, la buona novella della rinascita. Celestino V, umile Papa che il Sommo Poeta declamò tra gli Ignavi dell’Antinferno – denunciando la figura del Santo eremita da Morrone come una delle personalità più “scomode” della storia episcopale – rinasce dalle ceneri del vile anonimato di antichi e nefasti giochi di potere; e spalanca gli “edificanti” e maestosi orizzonti della Porta Santa al più grande Giubileo della storia: la Perdonanza Celestiniana. Una miccia che, nonostante le “calamità” – episcopali e naturali – non è ancora riuscita ad esplodere in tutta la sua rivoluzione storica, culturale e religiosa ; ma che ora le antiche faglie implodono di divina giustizia attraverso la “via Crucis” di un solenne ritorno a casa. Una cerimonia che ieri, 19 Dicembre, ha riacceso speranze, nostalgie e voglia di ricostruire un passato solo assopito tra le macerie dell’immane tragedia del terremoto che, nel 2009, ha seminato vittime e distruzione. Eppure, a dispetto di tutto, anche dell’”umana” indifferenza, la Basilica di Collemaggio – Tempio italiano della “Nuova Gerusalemme” – ha rispolverato antichi tesori e il “verbo” del giubileo dei giubilei: la Porta Santa del Perdono. Un perdono umile, secolare, disarmante; come la meraviglia e lo stupore di coloro che, in una fredda giornata di Dicembre, hanno riacceso focolai di passione per una rinascita etica e sociale attraverso un rinnovato senso di appartenenza che la Nuova Basilica ha “beatificato” tra le sacre spoglie del Santo Papa Celestino V. E così, tra il clamore istituzionale di antesignani convenevoli, le angeliche divise dei vigili del fuoco – umili e disarmanti anche in questa “solenne” occasione – si sono fatte carico della sacra reliquia ossequiando, con la stessa umiltà, colui che ebbe la viltà di osare il “gran rifiuto”.
La Basilica di Collemaggio e la Porta Santa del Perdono
Otto lunghi, interminabili anni di attesa; una svilente ma lungimirante prospettiva di speranze e grandi rinascite tra i tratturi di transumanze dell’anima, all’interno di un tessuto urbano assetato di nuove oasi di aggregazione sociale e culturale. Una disgregazione che ha finito per contaminare il patrimonio culturale ed artistico del capoluogo abruzzese: L’Aquila si è ritrovata spoglia di tutto, tranne della propria, intima, dignità. Proprio così è apparsa, ieri, la “nuova” Basilica di Collemaggio: spoglia di quei suppellettili figli di una bramosia di potere che mal si accosta al profondo misticismo dell’autentica religiosità. Forse è per questo che l’emozione è sfociata in empatia e devoto rispetto per un evento che, per la prima volta, esulava da tutto, fuorché da quel misticismo che nulla ha da spartire con gli “ismi” della spicciola ipocrisia. Una riscoperta di valori umani che si è tradotta in intimo raccoglimento, accompagnato dai proverbiali giochi di luce del gineceo templare più chiacchierato della storia pontificia. A scortare l’umile salma di Celestino V soltanto il bagliore di ogivali spiragli, proiettati dalle imponenti finestre che, chiassosamente, illuminavano la chilometrica navata centrale: un suggestivo ed inusuale solstizio d’ estate di un Dicembre da ricordare, in attesa del fatidico 21 giugno quando il rosone centrale della Basilica di Collemaggio – inclinato di tre gradi – proietta, in armonia con le mistiche leggi del cosmo, un singolare cerchio concentrico che, magicamente, va a coincidere con il “settimo cerchio del labirinto” inciso sul pavimento; innescando uno stupefacente “processo energetico – vibrazionale”. In mezzo a tanto candore, il contrasto del soffitto dalle imponenti capriate color mogano delinea la netta e sottile distanza tra il presente e un remoto passato che, solo illusoriamente, torna a splendere nella sua totale interezza. Nella trascendentale malinconia dei perlacei riflessi rosa antico della monumentale facciata, soltanto le allegorie dei putti incisi tra le minute nicchie ornate da “corinzi” artifizi – inno alla frivolezza di una gioviale spensieratezza – riescono a pilotare la mente su un “prima” privo di incertezze e di “calamità”. Intanto la Porta Santa spalanca spiragli di speranza a chi, mutilato dal dolore della perdita, ricerca nella fede la triste melodia di un requiem che rivendica riscatto, verità e senso di responsabilità.
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