Oltre l’estetica, l’etica: Mafai e Kounellis in mostra

Nella mostra La libertà del pittore quaranta tele del maestro espressionista Mario Mafai dialogano con le installazioni dell’artista greco Jannis Kounellis. Fino al 1 giugno il Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese offre l’occasione ideale per sfatare lo scetticismo verso l’arte astratta.

Iniziatore nel 1929 del movimento artistico detto Scuola di Via Cavour, verso la fine della sua carriera Mario Mafai fu mal giudicato da pubblico e critica per il drastico passaggio dalla pittura figurativa a quella informale. Al centro della vita del pittore c’è la Roma di primo 900, croce e delizia: assidua protagonista delle incantevoli vedute paesaggistiche degli anni 40, tra cui è esposta Veduta di S Giovanni e Paolo (1939), la capitale si mostrò presto incapace di apprezzare il nuovo linguaggio decostruzionista, rinnovata espressione di una complessa personalità.{ads1} A denunciare oggi quella libertà punita è lo scultore e pittore greco Jannis Kounellis, esplicitamente schierato in difesa dei presupposti etici alla radice dell’arte di Mafai: “Mafai è un bravissimo artista, capitato in un tempo sbagliato, in un tempo di guerra, di sacrifici, di chiusura dei confini e dunque è rimasto intrappolato in questa sua Roma bellissima. Se tu prendi il Goya delle pitture nere e il Goya di quando era nel palazzo sono due pittori diversi, anche con volontà diverse, non puoi annullare l’uno o l’altro“. Esponente di primo piano della cosiddetta arte povera , Kounellis sostiene il maestro attraverso le sue “opere gesto”, semplici e forti supporti in lamiera, che nel percorso espositivo offrono simbolicamente le tele dell’ultimo Mafai. 

Dopo un rapido excurus sull’operato dei primi anni, tra cui Testa di Simona (1932), Ragazzo con la palla a terra ( 1932) e Tre bambine (1931), il cuore della mostra prende forma nel nucleo di dipinti eseguiti tra il 1958 e il 1965: lo spazio espositivo bianco e silenzioso al piano terra del museo si offre come sfondo neutro e favorevole per cogliere tutte le contorte evoluzioni cromatiche succedutesi sulla tela. In Tramonto sul Lungotevere (1929) il pittoresco scorcio romano che si specchia limpidamente sulle acque del fiume è ancora completo di tutti i suoi elementi: il ponte, gli alberi e i palazzi storici della capitale sono ben distinguibili in lontananza. Quegli stessi edifici, filtrati dalla nuova lente dell’astrattismo, si mescoleranno indistinguibili l’uno nell’altro in Tetti (1959), claustrofobica visione colorata che non risparmia contorni, ne spazi bianchi. La metamorfosi è drastica: un tradimento per il pubblico dell’epoca che smise di acquistare le sue opere, “una nuova concezione del tempo, dello spazio e della verità” per Mafai, un’ occasione per indagare l’origine della tanto bistrattata arte contemporanea per i romani di oggi.

 

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