Il germe populista
Andrebbe sovente rimarcato, atto inutile agli occhi di chi sia già sufficientemente attrezzato nell’attuale (ma non troppo) battaglia delle idee, il ruolo predominante dell’informazione filtrata dai media nell’odierno indottrinamento delle “coscienze”. Il grado di sviluppo intellettuale dell’uomo medio a noi coevo riflette in toto la precarizzazione dell’esistenza stessa, vincolata risultante di progressivi tagli alla spesa pubblica, disoccupazione strutturale strettamente connessa a deflazione salariale e altre variabili (che poi in realtà sarebbero oculate scelte politiche) “grazie” alle quali il mondo apparirebbe oggi diviso in due fette. Due fette che sarebbero ben visibili e quindi interpretabili se non fosse per l’imbarazzante minutezza di una delle due (quella delle elitè cultrici del “lassez fair” delle vacche grasse a loro tanto caro) a fronte dell’omogenea e sempre più grettamente neutra fetta che sta fagocitando quella che una volta eravamo soliti chiamare “classe media”.
Com’è logico che sia, in un sistema capitalista come quello occidentale, il controllo dell’informazione costa (caro) e a fronte di spese chi investe capitale deve sempre ricavarne un degno beneficio. I centri di potere dietro il mondo dell’informazione italiana, quello dei grandi gruppi editoriali, hanno sapientemente svolto il proprio compito, accompagnando con dimestichezza la progressiva operazione di redistribuzione dei redditi (sempre meno quelli da lavoro, sempre più quelli da rendite finanziarie) che negli ultimi 35 anni ha caratterizzato grossa parte del mondo occidentale: nello specifico casus belli di marca italiana, anni di quotidiano e ininterrotto bombardamento mediatico sono drammaticamente stati in grado di distruggere lo spirito sociale, altruista del cittadino medio, l’essenza ultima dell’esser comunità, gettandolo in una caleidoscopica pattumiera di luoghi comuni, come la condanna dello stato sovrano foriero di guerre mondiali, aprendo così le porte a un dissennato fremito d’amore verso l’internazionalismo della pace, frutto di una retorica congeniale esclusivamente all’abolizione di ogni barriera fisica (e non) che possa ostacolare con successo la tracotanza del grande capitale.
Come una madre tende a difendere il proprio cucciolo dalle avversità dei primi anni di vita anche i padroni dei nostri giorni sentono l’esigenza di tutelare la propria creatura, sì stabile e sempre più in grado di reggersi sulle proprie gambe, ma tuttora suscettibile di subire fastidiose e piccole ferite durante la propria crescita: ecco quindi il bisogno di plasmare un feticcio, quello del populismo, in grado di estinguere il dissenso sul nascere convogliandone la portata restauratrice di un’autentica lotta di classe in un unicum docile e insignificante, a tinte acritiche e degno di esser ridotto al rango di voce senza fondamento. Leggere Zerohedge o altri canali d’informazione come Vocidallestero (per quelli bravi, ma proprio bravi, c’è il New York Times) ci ricorda che tutto il mondo è paese e che come evidenziato in precedenza, non siamo i soli in occidente a dover fronteggiare questa oltraggiosa situazione: prendendo a riferimento gli Stati Uniti, questo pezzo di ZH mostra come nella patria delle libertà si stia cercando di additare proprio il populismo come causa di tutti i problemi della società. Persone che per incomprensibili coincidenze astrali, neanche fossimo a Tikal o nello Yucatan, si ritrovano oggi ai margini della società con bassi livelli salariali, senza un’istruzione adeguata per i figli, con trattamenti pensionistici da fame e senza cure mediche sfogano i loro istinti repressi in deviate forme di fascismo. Secondo il repulisti mediatico delle coscienze questi individui andrebbero emarginati, lasciati in pasto alle dinamiche di mercato in grado di riaggiustare ogni dinamica dell’economia: basta che lo stato non si intrometta con politiche mirate alla piena occupazione o alla tutela di diritti fondamentali indicati programmaticamente nelle costituzioni democratiche del dopoguerra.
Secondo la rancida mano tesa dall’informazione dei padroni in soccorso di una sempre più larga fetta di affamati, gli ultimi (che aumentano a dismisura) non meriterebbero alcuna ospitata negli orari di punta (Scamarcio a Otto e Mezzo lunedì sera è l’eccezione che conferma la regola), né spazio nelle prime pagine dei quotidiani. I populisti propugnano idee malsane per la società e tutta questa agognante visionaria vicenda delle fakenews erige un totem a simbolo della repentina trasformazione della trasposizione di opinioni sociali, politiche, economiche in una trasposizione di scienza operabile esclusivamente da chi ne detiene le competenze. Nel caso si individui chi le stabilisce preliminarmente chiamare il numero verde.
Il termine populismo, tanto cacofonico quanto offensivo, è sempre più presente nelle trasmissioni di punta: talvolta sembra assumere venature di razzismo, seppur meno di altri epiteti dedicati quotidianamente al popolo italiano. Eppure è lì e sta facendo presa, giorno dopo giorno, su una classe media sempre più sottile, non in grado di rendersi conto della propria inesorabile mutazione genetica nei “populisti di domani”. Quelli che mentre gli segano il tronco a cui sono appesi per salvarsi dal precipizio se la prendono, guardando verso il basso, con chi dentro il baratro ci è già finito dentro.
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