La Bella e la Bestia: amore, magia e moda
“C’era una volta la Bella e la Bestia…”, quando e dove, non è dato sapere. Rintracciare le origini di questa favola, che attraversa più secoli, è tanto difficile quanto inutile. Basti dire che da un originario nucleo latino, quello di Amore e Psiche, dal quale hanno attinto quasi tutte le favole europee, la storia ricompare negli scritti di Giovanni Straparola alla metà del ‘500 per poi francesizzarsi nella versione di Madame de Villeneuve del 1740.
Anche questo testo tuttavia, si prestava a ulteriori rimaneggiamenti, per assestarsi nella riduzione di Madame de Beaumont, che invero Madame non era, del 1756. Non è breve, e intervallato da vari tentativi cinematografici, il passo che si deve compiere fino al 1991 per la vera consacrazione: è l’anno della trasposizione animata della Disney, della prima candidatura di un cartone animato al premio Oscar (che vincerà effettivamente l’anno successivo come miglior colonna sonora), per l’Italia del duetto storico tra Gino Paoli e Amanda Sandrelli.
Dopo Cappuccetto rosso sangue del 2011 e Biancaneve e il cacciatore del 2013, il 27 febbraio si affaccia nei cinema una nuova e tecnologica versione di un intreccio antico, alla quale prestano i volti Léa Seydoux e Vincent Cassel: è La Bella e la Bestia di Christophe Gans. Con il cartone della Disney, che di fatto ha monopolizzato l’immaginario collettivo con una manipolazione profonda della trama, questo film condivide poco o quasi nulla. Il regista ha infatti deciso di riallacciarsi ai contenuti della trattazione letteraria del 1740, attualizzandone profondamente la resa visiva: un’operazione bellissima, nel senso più estetico della parola, fatta di scenografie spettacolari e abiti meravigliosi. Soprattutto a quest’ultimi, ideati dal costumista Pierre-Yves Gayraud, si deve il merito di un effetto seducente e ricercato: i vestiti cangianti di Belle, costruiti sullo stile primo impero, con derive rinascimentali e origami, lasciano il segno e contribuiscono alla resa pittorica dell’immagine.
A condire il tutto una dose, che non si fatica a definire eccessiva, di effetti speciali, a conti fatti talmente tanti e intrusivi da guastare l’atmosfera sognante della prima parte del film. La magia delle statue, degli animali, degli esseri fantastici, ma soprattutto dei tecnici che hanno lavorato lungamente negli studi di Babelsberg vicino Berlino, dove il film è stato girato quasi per intero, si impone sia sui personaggi che sugli attori che li interpretano, che perdono la loro dimensione emotiva e interpretativa. Un vero peccato se si pensa a quella Palma d’oro che Léa Seydoux ha vinto grazie al cinema d’autore solo l’anno scorso. La struttura dell’intreccio è altrettanto debole. La scena cruciale in cui Belle ricambia l’amore della Bestia permettendo il ritorno alla veste umana, arriva del tutto ingiustificata: se non regalare mantelli principeschi e fare mostra di un certo patrimonio, la Bestia rimane un personaggio emotivamente e pedagogicamente immaturo, incapace di meritare l’amore romantico della sua principessa.
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