Mercedes: il mondiale arriva a lume di candela ma così questa F1 proprio non va
MERCEDES AD UN PASSO DAL MONDIALE – Se non fosse che chi scrive questo articolo non crede al destino, oggi verrebbe da dire che il mondiale era destinato alla Mercedes. Troppe coincidenze, troppi episodi a senso unico. Troppi eventi improbabili, tutti sempre a vantaggio dello stesso pilota. A volte, per decidere una lotta serrata può bastare anche un singolo episodio, mentre, nel GP del Giappone, abbiamo visto consumarsi l’ennesimo guaio di un finale di stagione amaro come non mai per la scuderia di Maranello. Al via Vettel è secondo dietro ad Hamilton, si sta giocando le ultime disperate chance di riaprire la corsa mondiale ma nel giro di posizionamento qualcosa va storto. I meccanici aprono il cofano motore. Forse una candela. La macchina viene chiusa e si incrociano le dita, ma dopo due giri le vettura di Vettel viene sfilata da tutti ed è costretta al ritiro. Proprio una candela si dirà, un pezzo che non si rompe mai, una probabilità su un milione che possa capitare.
La gara e il mondiale sono già chiusi. Hamilton fugge via in solitaria parata. Milioni di tifosi Ferrari nel mondo, con gli occhi ancora gonfi di sonno per la sveglia alle 6:50, assistono increduli ad una delle più cocenti sconfitte sportive degli ultimi anni. È vero, la Ferrari non vinceva ugualmente da molto tempo e quest’anno era finalmente tornata competitiva, mostrando grandi passi avanti, ma nel momento in cui tutto sembrava alla portata, sono iniziati gli episodi a sfavore. Prima l’incidente al via a Singapore, con l’improbabile acquazzone. Poi la mancata qualifica di Vettel per il turbo montato male, l’incidente con Stroll a GP finito e oggi la candela. Sicuramente, per provare a prendere le irraggiungibili Mercedes, alla Ferrari avranno provato a dare il tutto per tutto, rischiando qualcosa in termini di affidabilità per cercare la prestazione definitiva e questa scelta, questo azzardo, alla fine non ha pagato i suoi dividendi.
Onore alla Mercedes, scaltra, furba, glaciale quando serviva e con quell’alone di antipatia che solo una vettura quattro volte campione del mondo può portarsi dietro. Resta la delusione per averli visti lavorare sotto pressione solo per metà stagione. Hanno sbagliato anche loro, sono stati costretti a forzare la mano e a sudare le consuete sette camicie. Poi, quando hanno dovuto stringere i denti e sperare, si sono trovati a vincere senza sapere nemmeno loro come. Merito certo, ma anche molta fortuna. Si sono riscoperti umani e, come in 300, hanno scoperto che anche un dio può sanguinare, salvo poi trucidare i nemici con la solita spietata precisione anglotedesca.
Infine c’è la Formula 1. O meglio, c’era la Formula 1. Quello che una volta, e per molti anni, è stato uno sport di distacchi infinitesimali, di sorpassi al limite, di lotte serrate, di amori e antipatie. Di rischi, di tragedie, di posti esotici, di curve difficili, di staccate, di manovre azzardate. Oggi di quello sport non resta nulla o quasi. Schiacciato dall’elettronica, dalla tecnologia, dai regolamenti cervellotici, dai geni del marketing, dalla pubblicità, dagli interessi, dalle cause legali. Oggi la Formula 1 si è ridotta ad uno spettacolo spesso indecente, fatto di decisioni senza senso e penalità assegnate con logica quanto meno incoerente.
Prendiamo il GP del Giappone di oggi. Abbiamo assistito, nell’ordine, ai seguenti episodi. Hamilton, con una quantità di punti di vantaggio nel mondiale enorme, braccato da Verstappen, chiede e ottiene che il suo compagno di squadra Bottas lo lasci passare per fermare e ostacolare il rivale della Red Bull. Esiste qualcosa di più antisportivo? Esiste di qualcosa di più avvilente che vedere un pilota usato come blocco? E non è la prima volta che succede, quest’anno Bottas ha deciso di gettare alle ortiche carriera e reputazione pur di commettere qualsiasi gesto gli venisse chiesto dalla Mercedes. Lecito? Forse sì. Bello? Assolutamente no. Abbiamo visto Alonso, doppiato, fare esattamente come una settimana fa con Vettel, ovvero farsi superare dalla prima macchina e poi mettersi davanti alla seconda, impedendole di continuare il duello. Risultato? Oggi sotto investigazione e la scorsa settimana no. Dunque esiste un regolamento? E se esiste, come viene applicato? Chi decide? Come può un pilota in undicesima posizione influire per due GP consecutivi sulle posizioni del podio?
Virtual Safety Car. Ovvero un sistema ideato per congelare i distacchi e permettere il recupero in sicurezza di macchine potenzialmente pericolose, senza alterare l’equilibrio della gara. Svolgimento. Verstappen è a 2 secondi da Hamilton. Virtual SC attiva. Alla ripresa i secondi sono diventati 3 la prima volta e 4 la seconda. Oltre 3 secondi guadagnati dal leader del mondiale in gara, in una condizione che dovrebbe essere uguale per tutti. Stessa storia Bottas, a 6 secondi da Ricciardo che come per magia sono diventati 3. Investigazioni? Indagini? Nemmeno a parlarne. Una scuderia, la scuderia che da quattro anni domina in lungo e in largo può guadagnare 10 secondi sui rivali senza che nessuno si ponga il problema. Tutto molto bello, tutto molto corretto, ma che senso ha parlare ancora di sport?
Quindi, se da un lato ci sono uomini eccezionali, macchine evolutissime, duelli ancora entusiasmanti, dall’altro c’è una Formula 1 allo sbando, umiliata da ridicoli sotterfugi, da decisioni mai eque. Norme che vengono messe lì come pezze per tappare buchi quando si presentano. Abbiamo visto macchine correre una stagione con soluzioni tecniche al limite e altre macchine a cui il fondo è stato dichiarato illegale in quattro e quattr’otto. Sentiamo puzza di politica, di interessi, di giochi di potere, invece che di gomme, di benzina e di asfalto. Non ci piace più quello che vediamo e non perché la Ferrari non vinca ma perché si è tradito lo spirito di uno sport che abbiamo amato e continuiamo ad amare, nonostante tutte le brutture alle quali ci tocca assistere gara dopo gara.
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