Scaglie di cioccolata fondente, lo spettacolo [INTERVISTA]
Ve ne avevamo già parlato in anteprima all’indomani della pubblicazione, il libro shock dell’avvocato Domenico Monteleone da quest’estate ha preso forma fino a diventare uno spettacolo. “Scaglie di cioccolata fondente – smisurati ritorni” è il titolo omonimo della pièce teatrale portata in scena dal soprano Nunzia Durante, dal pianista-compositore Alessandro Massa e naturalmente dall’autore nella sua nuova veste di mattatore. Un tour che ha attraversato ben quattro regioni, dalla Calabria alla Campania fino al Lazio e Sicilia, senza esitare a creare scompiglio. Vi regaliamo così la nostra intervista al protagonista dell’evento, Domenico Monteleone.
Uno show per presentare un libro: “Scaglie di cioccolata fondente – smisurati ritorni”.
Non proprio, un evento che vuole essere un momento di riflessione dinamica, che nasce dal coinvolgimento di varie anime: il canto, la musica, l’immagine, il video, il racconto. Tutto unito da un filo di ironia, soprattutto di autoironia, che segna l’intera proposta.
Compagni di viaggio Nunzia Durante e Alessandro Massa.
Diciamo che loro sono gli artisti della proposta, dello spettacolo, io racconto alcuni dei ventotto episodi narrati nel libro. Nunzia Durante è un soprano, un’artista internazionale che vanta un curriculum di tutto rispetto e che ha cantato in tanti importanti teatri. Alessandro Massa è un pianista, compositore ed autore per i fatti suoi. Insieme propongono brani della tradizione napoletana e due video praticamente inediti.
La musica classica partenopea e la lirica come filo conduttore, come mai questa scelta?
Avere un “contributo” di questa natura rende ancora più efficace il collegamento che esiste tra musica e parole. Il fatto, poi, che Nunzia Durante sia anche mia moglie rappresenta un valore aggiunto che il pubblico ha dimostrato di apprezzare e di valutare molto positivamente. Uno dei segreti del nostro show è che – oltre ai due inediti di Alessandro Massa che proponiamo con i relativi video – Nunzia Durante canta dei famosi brani napoletani a cui abbiamo attribuito un significato diverso da quello originario. Abbiamo, insomma, scoperto e assegnato un valore ulteriore a ciascuna di queste canzoni, un vero e proprio lavoro di “riscrittura” del significante di questi brani, un lavoro “inedito” che dona nuova luce ed emozioni ulteriori.
I critici le riproverano un marcato accento calabrese, come risponde?
A quelli che – non trovando null’altro su cui pontificare – mi rimproverano la mia marcata inflessione calabrese, dico che probabilmente ci hanno capito ben poco. Infatti, a parte il fatto che sono “napoletano”, io non parlo a nome di tutti anche perché non devo raccogliere consensi, parlo solamente a nome di quelli come me ed a quelli come me importa veramente poco dell’inflessione dialettale, che è naturale in ciascuno di noi. A quelli come me importa di tante altre cose e, d’altronde, aveva una marcata inflessione dialettale gente come Giovanni Falcone, come Paolo Borsellino, come Leonardo Sciascia, come Eduardo De Filippo.
In che senso napoletano?
Nel senso che – pur essendo nato in Calabria – mi trovo a mio agio nella mentalità partenopea dove mi sento come quando arrivi a casa e ti metti in pantofole. Non rinnego ovviamente la mia essenza calabrese ma penso di essere molto più napoletano che calabrese come modo di essere e di approcciare alla vita. Mi ritrovo molto, per esempio, nel modo di dire partenopeo: “Si può fare? Si fa, si fa!” che esprime un ottimismo innato e pieno di vitalità e che in Calabria credo sia meno presente.
Lei ama la Calabria però.
Certamente sì, e ho cercato sempre di fare qualcosa per lei. Quel che non sopporto è, però, un certo modo di fare che mi sembra anche un po’ ignorante, pensiamo ad esempio che in Calabria siamo stati capaci di assegnare un premio a un esponente di una Banca Internazionale con sede in U.S.A. Premiare chi rappresenta gli artefici primari della nostra situazione: si può essere più miopi? Mi sembra azzeccata un’espressione di Gaber: “Dio ha messo un limite all’intelligenza e ha fatto bene. Ma non poteva mettere un limite anche all’idiozia?”.
Trasformare un libro in spettacolo non deve essere stato facile, come ci siete riusciti?
Tra le prime esibizioni e l’ultima c’è grande differenza perché c’è stata una evoluzione dovuta a tutte quelle limature, a quelle correzioni, a quegli aggiustamenti che sono fisiologici in un lavoro che non è fisso, non è fossilizzato, non è fermo e immobile alla prima stesura. Credo che sia avvenuta una sorta di esaltazione degli elementi positivi e di bonifica di qualche elemento che frenava l’efficacia e la godibilità dell’evento che oramai è un vero e proprio spettacolo, poiché il pubblico si diverte, ride, viene coinvolto, riflette e, poi, torna a casa dichiarando di aver assistito a qualcosa di nuovo. Qualcuno parla, addirittura, di evento unico e irripetibile!
A proposito di riferimenti lei cita moltissimi autori, primo fra tutti Giorgio Gaber. Perchè?
Sì, durante lo Show, parlo di Gaber ma, ovviamente, l’obiettivo non è quello di far conoscere Gaber. Non meritano di conoscere Giorgio Gaber coloro che Giorgio Gaber non lo conoscono già! Ma non solo lui: cito Eduardo De Filippo, Joseph Ratzinger, Gilles Deleuze, Carmelo Bene, Franz Kafka, Alessandro Manzoni, Hannah Arendt, Arthur Conan Doyle e, naturalmente, Gesù Cristo. Si tratta di Personaggi di valore (Gesù fa categoria a parte) e di citazioni positive ovvero di spunti che prendo in prestito per descrivere con maggiore ampiezza ciò che dico.
Ci sono anche citazioni negative?
Sì, ci sono poi tutta una serie di personaggi negativi, che cito con altrettanta forza, per evidenziare la loro malsana “carica” dannosa, dei veri e propri nemici della collettività. Mi sembra inutile ripeterne qui i nomi, perché sono quelli che tutti sappiamo e conosciamo.
L’incontro è uno dei temi fondamentali del libro e dello show, giusto?
Chiudo sempre lo show dicendo che il senso di tutto questo “vivere” è quello di incontrare, incontrare le persone, sentirne profondamente i sospiri, condividerne le ansie, le gioie, i ragionamenti, i sogni. Il senso è quello di incontrare per conoscere.
Essere avvocato ha avuto un peso?
Con il microfono in mano, continuo a essere me stesso e, dunque, continuo ad essere ciò che sono per 24 ore al giorno: un avvocato. Rifiuto l’idea secondo cui bisogna specializzarsi e fare solo una cosa, rifiuto, quindi, l’idea secondo cui bisogna segmentarsi. Personalmente, non intendo segmentare il mio orizzonte e, per questo, sono un civilista, un penalista e un amministrativista. E sono anche tanto altro! Il pensiero unico ci vuole frammentati così da farci vedere solo una parte di realtà, invece penso che fare tutto – con grande impegno – ci restituisce migliori in tutto. Così, fare tutto ciò che faccio al di fuori della professione mi restituisce, al mio mestiere di avvocato, più forte, più sicuro, più consapevole, più preparato. Mi restituisce migliore.
È un invito a completarsi?
Scaglie di cioccolata fondente vuole essere, dunque, un invito a completarsi, a uscire dall’angolo del proprio ristretto orizzonte, a migliorarsi. Un invito a tutti! Scagliatevi, dunque, al gusto di cioccolata fondente!
L’etica e l’estetica fuse insieme nello stesso momento teatrale.
Come Carmelo Bene, non riesco più a scindere l’Etica dall’Estetica e pertanto – per quelli che sono in condizione di comprenderlo – il libro-teatro non è un evento fine a se stesso. Per chi non lo comprende, rimane il divertimento o il rilassamento che sono le prime cose che “saltano all’occhio” guardando lo show. Il divertimento e il rilassamento li percepiscono tutti, per il resto bisogna possedere delle buone chiavi.
Cosa intende per buone chiavi?
Alla fine di ogni evento c’è sempre qualcuno che mi viene a parlare, che vuole approfondire le cose che dico. Altri, invece, dimostrano una certa presunzione: “Dovresti dire… Dovresti parlare di…”. No, io non devo dire niente, mi rifiuto di dover dire. Voglio essere libero di sollecitare, libero di suscitare certe reazioni in chi mi ascolta. E questo avviene solo con coloro che hanno la mia stessa struttura mentale. Non accade mai – ad esempio – con quelli che si sentono qualcuno o che aspettano una qualche occasione pubblica per farci vedere quanto sono bravi e/o di quanta cultura “dispongono”.
Perchè questo titolo?
Perchè la cioccolata fondente – di cui sono ghiottissimo – è una metafora per rappresentare l’ispirazione. Ho scelto la declinazione al femminile perchè la mia ispirazione è sempre stata nel femminile, le donne hanno sempre avuto una profonda incidenza nella mia vita. “Smisurati ritorni” perchè smisurato è il modo con cui io ritorno sugli argomenti che tratto e, d’altronde, non credo ci sia margine di scelta: quando si parla di un qualcosa che sta a cuore bisogna farlo smisuratmente, con la forza di un fiume in piena.
Alla fine di ogni esperienza, spesso all’entusiasmo si sostituisce la malinconia. Le è capitato?
Sì, mi è successo, ci è successo. Pensavo che quella malinconia fosse il magone per la fine della parte estiva del Tour Raccontautore (Libro-Teatro). Un tour in cui ci siamo divertiti, abbiamo girato parecchio, abbiamo “incontrato”, abbiamo venduto anche tanti Libri, siamo stati bene. Questo tour è stato l’evento più bello, più soddisfacente, più elettrizzante, più divertente, più propositivo, più aderente alla mia personalità che abbia mai organizzato, contribuito a organizzare o a cui abbia mai partecipato. Pensavo fosse il magone, dicevo. E lo è solo in parte! Invece, nonostante tutto il bello che abbiamo vissuto, ho capito che quel magone è dovuto, soprattutto, al fatto che ho rafforzato l’idea che frequentarsi e perdersi sia la stessa, identica, cosa. Ho frequentato, come non mai, la Calabria e frequentando ho verificato che ci sono cento, mille che non valgono niente, che non hanno la benché minima idea di cambiare le cose, ci sono cento, mille che cercano di farsi strada così come lo fanno le formiche sul cadavere putrefatto del verme. Frequentando mi sono accorto di essere lontano, lontanissimo dagli altri cento, mille che essi sì, sono la Calabria. Loro sono la Calabria, non noi, non più, con ogni probabilità noi non lo siamo mai stati, la Calabria! Ecco, allora, che frequentare e perdersi è stata la stessa cosa perché, frequentando queste “situazioni” io ho capito di averle perse, di averle perse per sempre, perché troppo distanti, perché troppo diverse, perché per loro non c’è veramente nulla da fare.
Nulla da fare?
Sì, sono oramai certo di non potere più fare nulla. Non potere e anche non volere più fare niente. Potrei fare l’ipocrita e tacere, in fondo il tour è stato bello, è andato molto bene e non ci sarebbe motivo di dire altro. Non ci sarebbe nell’ottica ipocrita e opportunistica che vige a queste latitudini. Dico, ribadisco che frequentando si è come smaterializzata la “fantasia”, l’illusione, la visione che tutto si possa evolvere verso il meglio. Perchè io mi sono perso la Calabria e viceversa, ovviamente, ognuno per la sua strada. La Calabria dei cento, dei mille, quella che – come ho detto – è la vera Calabria mi ha perso definitivamente anche perché, diciamola tutta, non ne sentirà nemmeno la mancanza. Anzi, tirerà un sospiro di sollievo. Questa Calabria merita e aspira a ben altro, aspira e merita di stringere la mano agli Oliverio, alle Roccisano, ai Bova, ai Romeo, agli Scura, agli Urbani. Merita le cosiddette TV libere (si fa per dire) locali. Merita gli organi di informazione (si fa per dire) locali. Merita i servizi che non ci sono. Merita tutto quello che non ha quotidianamente, che le viene sottratto quotidianamente. Merita. Eccetera, eccetera, eccetera! Ho perso e, per fortuna, lo posso dire da vincente. Ho perso e lo dico ringraziando quelli che mi accompagnano e che mi hanno accompagnato anche durante questo sorprendente tour.
Mi sembra un po’ alla Gaber, “La mia generazione ha perso”.
Sì, grazie! In effetti è così, la mia generazione ha perso perché sono troppo pochi quelli che pensano e vogliono diversamente da chi “detiene” la Calabria, sono troppo pochi, e così vengono puntualmente sovrastati – come gli Amici di Gesù dagli amici di Barabba – e il puzzo di carogna che se ne sprigiona, tipico miasmo dell’ipocrisia, si sente anche da molto lontano. La mia generazione ha perso, ma – sorprendentemente – è contenta così! È stata programmata per questo.
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