L’attentato di Londra e il dilemma della sicurezza
Un nuovo, vile, attacco terroristico è tornato a scuotere la Gran Bretagna. A distanza di pochi giorni dall’attentato di Londra i presunti responsabili sono stati individuati ed arrestati, a conferma che se è “facile” far giustizia a posteriori ben più difficile è prevenire. Non è un caso che i più recenti attentati terroristici abbiano colpito là dove una città è più vulnerabile. L’ultimo di questi ha ferito 30 persone a Londra, risvegliando lo spettro dell’assoluta casualità con cui il terrorismo può colpire. In occasione dell’ultimo attacco alla tube, l’ex capo della sicurezza della metropolitana londinese ai tempi del terribile attentato del 2005 si è detto «affatto sorpreso» che il terrorismo sia tornato a minacciare il mezzo di trasporto più popolare della capitale britannica: «Si può fare molto per renderla sicura, ma è impossibile renderla del tutto invulnerabile. È un servizio che non può che essere aperto a tutti».
Il congegno esplosivo utilizzato – un secchio contente una busta e una serie di cavi – è detonato solo parzialmente; si tratta di un dispositivo rudimentale, di certo non costruito da mani esperte. Se non ci sono state vittime lo si deve all’incompetenza dei presunti jihadisti, un rifugiato siriano di 18 anni e un secondo sospetto di 21, attualmente in stato di fermo. A causare la maggior parte dei feriti sarebbe stata piuttosto il panico e la calca delle persone in fuga. Subito dopo l’attentato, rivendicato dall’Isis, il sindaco di Londra Sadiq Khan ha scritto in un post su Facebook che «come dimostrato in passato, la città di Londra non si farà mai intimidire né schiacciare dal terrorismo». La realtà, al di là della retorica, è ben diversa però: l’uso di Uber nella parte ovest della città è triplicato, secondo i dati forniti dal servizio di trasporto automobilistico privato. Gli stessi residenti di Parsons Green, l’area dell’attentato, hanno riferito ai media locali di aver evitato intenzionalmente l’uso della metropolitana negli ultimi mesi proprio per paura di attentati.
L’attentato di Londra solleva, ancora una volta, la difficile questione di cosa può essere fatto per prevenire il terrorismo e interrogativi sulla natura della minaccia. È davvero possibile proteggersi? La risposta, finora, rischia di essere no: non è una sorpresa che l’obiettivo ricorrente siano i trasporti pubblici, che nelle grandi città non possono essere messi in totale sicurezza. Sarebbe impossibile istituire i controlli necessari senza impedire ritardi e disagi, soprattutto nelle ore di punta, soprattutto in una città come Londra. L’esplosione riapre inoltre il dibattito su quanto paesi come la Gran Bretagna siano efficaci nella lotta al terrorismo. Si è visto come lo schema dell’attacco compiuto da persone già note alle autorità si ripeta puntualmente. «La minaccia è così diffusa che non è chiaro come si possa intervenire per prevenire futuri attacchi – ha commentato il direttore del gruppo di ricerca sulla sicurezza internazionale dell’Istituto Royal United Service a Londra, Raffaello Pantucci – Una delle possibilità è imporre pene più severe per i terroristi, e questa ipotesi allo stato attuale viene certamente considerata». Secondo una stima le autorità britanniche, nell’impossibilità di tracciare tutti i sospetti, monitorano circa 500 persone. Secondo i dati dell’Unione Europea, però, il numero di estremisti presenti nella Gran Bretagna oggi è superiore di ben 50 volte.
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