Città danzanti: passione flamenca, tango e malinconie
“Volver… con la frente marchita
Las nieves del tiempo platearon mi sien
Sentir… que es un soplo la vida
Que veinte anos no es nada
Que febril la mirada, errante en las sombras
Te busca y te nombra
Vivir… con el alma aferrada
A un dulce recuerdo
Que lloro otra vez …”
(Volver – Estrella Morente, testo C. Gardel)
A volte ritornano. E lo fanno attraverso giochi e contaminazioni – musicali e culturali – da premio Oscar. Ritmi, movenze, passioni: intrecci di arte, cultura, musica, si fondono e confondono tra loro, marcando il ritmo di culture destinate a segnare la storia di un popolo, o di un’intera nazione. E’ così che una malinconica litania che il grande Carlos Gardel, compositore uruguaiano, aveva destinato alle sensuali miradas del tango argentino si trasforma, attraverso i virtuosismi di Estrella Morente, figlia d’arte della passione flamenca, nel tormentone gitano targato Volver. Merito di una voce dal timbro inconfondibile, o dell’abile regia del grande maestro del cinema spagnolo, Pedro Almodovar o, forse, della poliedrica Penelope Cruz, icona “iberica” dallo struggente fascino dal “sabor madrileno”; il tango gardeliano della malinconia, ammaliato dalle sensuali movenze andaluse – scandite a colpi di taconeos sul tablao e nacchere – ha subito, fino ad esserne soggiogato, il magico percorso del flamenco gitano. Una tradizione nata nell’estremo sud della Spagna; un ritmo che insieme ai tori, alle corride e alle paellas ha varcato i confini nazionali spagnoli fino a divenire il cult di una terra baciata dalla ormai celeberrima pasion andaluza. E’ proprio qui, nel profondo sud dell’Andalusia, terra di sevillanas e di ferias, che il nostro tour alla scoperta delle città danzanti ha inizio.
“Que siga la fiesta! Olè!”
Siviglia: flamenqueros , sangria y… duende!
“I grandi artisti della Spagna meridionale, gitani o flamenchi, sia che cantino, ballino o suonino, sanno che non è possibile nessuna emozione senza l’arrivo del duende. Allora ciò che avviene in questi artisti è un qualcosa di nuovo che nulla ha a vedere con quanto esisteva prima: succede che viene immesso sangue vivo in corpi vuoti d’ogni espressione”. Con queste parole, pronunciate durante una conferenza, tenutasi a Buenos Aires nel 1933, intitolata “Juego y teoria del duende”, il grande poeta Federico Garcia Lorca descrive la “forza ancestrale” del duende : una parola quasi intraducibile ed assimilabile, forse, al carisma, all’energia o piuttosto a una sorta di incantesimo di cui i flamenqueros, attraverso le loro coreografiche performance frutto di fluttuanti colpi di taconeos, diventano ritmiche vittime di un surreale trance coreografico, fuoco ardente di una passione andalusa che da “madre terra” incendia corpo ed anima. E così, sulle calles di una delle più suggestive città danzanti, Siviglia, la movida flamenca sembra non arrestarsi mai:
sullo sfondo del Guadalquivir il fluttuante rigoglio delle acque spacca in due la città. E’”al di là del fiume”, nel suggestivo quartiere di Triana, un barrio lontano dai classici itinerari turistici di massa, che il flamenco rivendica usi, costumi, identità: è in questo quartiere che le prime comunità di gitanos, all’interno dei corrales, pittoresche abitazioni adibite a sale da ballo, si cimentavano in coreografiche performance. In mezzo a queste abitazioni a calce bianca, ai coloratissimi patios, agli storici alcazar la città apre le porte alla sua lunga e gloriosa storia. Impossibile non rimanere attoniti di fronte allo spettacolo di Plaza de Espana.
Costruita nel 1929 all’interno del Parque de Maria Luisa, in occasione dell’Esposizione Iberoamericana, questa piccola oasi di arte e cultura, risultato dell’ambizioso progetto dell’artista sivigliano Annibale Gonzales custodisce, tra i ricercati giochi architettonici di mattoni, marmi e ceramiche, la simbologia di un messaggio di pace e di identità nazionale: l’abbraccio della Spagna alle sue nuove colonie. Un altro monumento, emblema della capitale andalusa, è rappresentato dalla monumentale Giralda: alta 96 metri, la torre campanaria della Cattedrale troneggia a emblema, piedistallo e custode del suo girardillo, la Statua della Fede che domina la città. In mezzo a quest’oasi pittoresca di arte, architettura e cultura il flamenco scandisce il ritmo de “la vida gitana”e della sua proverbiale storia. Tappa obbligata per gli appassionati del genere, il Museo del Baile Flamenco: resterete ammaliati dagli splendidi abiti dei flamenqueros e dal “museo nel museo”, un excursus storico, cinematografico, pittorico e letterario della grande epopea flamenca. Il museo è aperto tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.00. Il costo del biglietto è di 10 euro per gli adulti, 6 per i bambini e 8 per gli studenti.
E, adesso, diamo libero sfogo alla movida sevillana, a caccia di flamenco, tapas y sangria! Prima tappa della “noche loca andaluza” è il famoso Tablao Los Gallos che, ogni sera, ospita due spettacoli di flamenco (alle 20.00 e alle 22.30). Qui potrete gustare, oltre alle specialità della casa, dell’ottima sangria o un dissetante “vaso de cerveza”. Per gli amanti delle “improvvisazioni”, invece, non c’è nulla di più scenografico del bar El Tamboril; in questo storico locale ogni sera, intorno alla mezzanotte, si può assistere ad indimenticabili e “spontanee”esecuzioni canore e danzanti dall’intramontabile ritmo andaluso. Su volagratis.com un biglietto A/R Roma-Siviglia è in offerta a partire da 49 euro. La Spagna vi aspetta: Adelante!
Buenos Aires: bandoneon de la pasion
Sulle note dell’aerofano a mantice più malinconico della musica da sala, il bandoneon, Buenos Aires è pronta ad accoglierci lungo le movimentate vie di Caminito o di San Telmo, tra le struggenti milonghe, “miradas” nostalgiche di veraci tangueros di strada. Dichiarata, dall’UNESCO, Patrimonio Immateriale dell’Umanità, dal 2009 la “milonga della malinconia” si fregia di un’ importante onorificenza che sancisce, una volta per tutte, l’identità musicale e culturale di un genere, di cui l’Argentina si fa promotrice anche al di fuori dei confini nazionali:Buenos Aires capitale del tango argentino.
Non dimenticando, però, che l’”antico milonguear”, nato alla fine del XIX secolo, è il risultato di un “melodramma etnico” di fusione di diverse culture: rioplatense, gauchesca, indigena, spagnola ed italiana. Interprete indiscusso di questo inconfondibile genere musicale è ancora lui, Carlos Gardel (1887 – 1935), che con la sua voce ed il suo stile unico ha segnato la storia del tango argentino. Dopo di lui, altri artisti hanno contribuito a rilanciare il moderno mito del bandoneon: dall’orchestra del violinista Juan D’Arienzo al maestro Astor Piazzolla, che spostò il tango dalle sale da ballo alle sale da concerto fino al “nuovo tango” o “tango fusion”, reso celebre da gruppi come i Gotan Project o i Tranghetto, e da cantanti del calibro di Susana Rinaldi, Adriana Varela e Daniel Melingo.
Per gli appassionati del genere è arrivato il momento di migrare in terra Argentina, nella Buenos Aires delle attrazioni e della malinconia. Potrebbe essere un’occasione per cimentarsi in sensuali coreografie d’autore frequentando le milonghe più gettonate di questo straordinario lembo di terra dalla struggente melodia. Abbiamo stilato una piccola classifica delle scuole più accreditate: dal Centro Region Leonesa a La sala Confiteria Ideal a Sin Rumbo, definita la “cattedrale” del tango a Buenos Aires: c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Questo mese Alitalia ha riservato per voi un’offerta da prendere “al volo”: Roma/ Buenos Aires da 659 euro, all inclusive. E’ tempo di bandoneon! Intanto, per fare un pò di stretching e prepararsi a queste maratone nelle città danzanti in giro per il mondo, non c’è niente di meglio che scatenarsi a ritmo di hura – tormentone mediatico 2017- e abbandonarsi, infine, al dolce milonguear.“Le gambe s’allacciano, gli sguardi si fondono, i corpi si amalgamano in un firulete e si lasciano incantare. Dando l’impressione che il tango sia un grande abbraccio magico dal quale è difficile liberarsi. Perché in esso c’è qualcosa di provocante, qualcosa di sensuale e, allo stesso tempo, di tremendamente emotivo.”(Jorge Louis Borges).