Corpo a Corpo, la Body Art si mostra alla Galleria Nazionale
I grandi cambiamenti storici, sociali e culturali verificatisi nel corso degli anni Sessanta non potevano non avere conseguenze anche sul linguaggio artistico, determinando la forte esigenza di scardinare i classici medium ritenuti inadeguati, a favore di nuovi mezzi espressivi in grado di esternare e rappresentare inedite esigenze e stati d’animo, via via sempre più urgenti e complessi. Sulla scia di quelle che erano state le esperienze degli happening e dell’arte performativa sul finire degli anni Cinquanta, nel decennio successivo si affermò con forza la corrente artistica della Body Art ancora oggi vitalissima, che prevede l’utilizzo del corpo come strumento privilegiato dell’espressione creativa, sia sfruttandolo come oggetto su cui compiere operazioni artistiche, sia come soggetto che dà forma al messaggio artistico. La mostra Corpo a Corpo in corso alla Galleria Nazionale fino al prossimo 24 settembre, ripercorre i momenti salienti di questa straordinaria pratica d’arte ponendo l’attenzione sul percorso di alcune artiste che, in modi diversi, si sono fatte portavoce di istanze femministe alla base di quel processo di autodeterminazione e riaffermazione della donna che ha segnato i due decenni Sessanta e Settanta.
In anni in cui, soprattutto in ambito artistico, persisteva un’enorme e inaccettabile disparità tra uomo e donna, attraverso la riappropriazione del proprio corpo le artiste rivendicavano con forza il loro ruolo nella società e il diritto di vivere una sessualità libera. Nell’ambito del processo di “liberazione della donna” tra le prime artiste che fecero del loro corpo un’opera d’arte, l’esposizione curata da Paola Ugolini pone l’attenzione sulle esibizioni di autrici quali Gina Pane che, attraverso atti di autolesionismo praticati con lamette, spine di rosa e vetri rotti, denunciava col proprio corpo le concezioni antiquate e maschiliste della figura femminile. All’interno del percorso espositivo è analizzato anche il lavoro di Marina Abramović che, con le sue performance che richiedono lunghe preparazioni mentali, esplora i limiti fisici del proprio corpo e come questo riesca a rapportarsi con il pubblico, così come il linguaggio di Ketty la Rocca, Suzanne Santoro o Francesca Woodman morta suicida a 23 anni la cui opera fotografica si concentrava soprattutto sulla rappresentazione del suo corpo e su ciò che lo circondava.
A dimostrazione che il filone espressivo della Body Art non si è mai esaurito, ma anzi, appare oggi più urgente che mai, la mostra dà spazio e continuità anche a quelle artiste di ultima generazione, soprattutto italiane, che negli anni recenti hanno ripreso il linguaggio del corpo attualizzando l’eredità ricevuta da chi le ha precedute e realizzando una serie di opere che compenetrano le ragioni artistiche con quelle della politica. Tra queste Chiara Fumai, Silvia Giambrone, Valentina Miorandi, Alice Schivardi e la coppia formata da Eleonora Chiari e Sara Goldschmied, autrici, quest’ultime, della serie Dispositivi di Rimozione in cui foto di tragici eventi che hanno segnato la storia italiana sono “popolate” da figure di donne nude. Tutto lascia presagire che la ricerca sperimentale attraverso il corpo utilizzato come mezzo espressivo privilegiato, abbia ancora molto da dire e che sia anzi in qualche modo necessaria al singolo individuo così come alla società tutta, esattamente come lo sono le performance di Hermann Nitsch che da sessant’anni non smettono di sconvolgere e scandalizzare in una coinvolgente azione catartica che libera chi vi partecipa dalla violenza e dalle manie omicida accumulate durante la routine quotidiana. Perché per chi avesse ancora qualche dubbio, tutto ciò esprime ancora una volta come il nesso tra arte e vita sia assolutamente inscindibile.
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