Si può dare della “vipera” alla suocera
Appellare la propria suocera, durante una lite, con il termine “vipera”, non è ingiuria, laddove la terminologia è usata per fornire la propria versione dei fatti agli agenti di polizia intervenuti.
. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5227 del 3 febbraio, depositata dalla quinta sezione penale. Per i giudici non integrano la condotta di ingiuria «le espressioni verbali che si risolvano in dichiarazioni di insofferenza rispetto all’azione del soggetto nei cui confronti sono dirette e sono prive di contenuto offensivo nei riguardi dell’altrui onore o decoro, persino se formulate con terminologia scomposta ed ineducata».
La Cassazione ha, così, annullato la condanna del genero da parte del tribunale di Nicosia alla pena e al risarcimento dei danni in favore della parte civile (la suocera appunto) per aver utilizzato, alla presenza di più persone, l’espressione «è scesa mia suocera come una vipera». La valenza offensiva di una determinata espressione, continua la Corte Suprema, «deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata».
Nel caso specifico, la frase, pronunciata alla fine di un litigio che aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, «non si connota in termini di offensività idonei a giustificare l’attivazione della tutela penale». Proprio perché il reato non sussiste, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio.