Denunciò 12 volte il marito che poi la uccise: condannati 2 pm

Femminicidio condannati 2 pm per la loro inerzia

Marianna Manduca fu uccisa 10 anni fa dal coniuge, Saverio Nolfo, malgrado i suoi ripetuti appelli ai magistrati mai presi in considerazione.

mariannaUn tragico caso di morte annunciata che per una volta sotto processo ha portato proprio loro, così il tribunale civile di Messina ha condannato 2 pubblici ministeri per dolo e colpa grave, perché con la loro inerzia non erano intervenuti in tempo, quando ancora si poteva fare qualcosa per Marianna Manduca, uccisa brutalmente dal marito, Saverio Nolfo, a soli 32 anni, 10 anni fa, nella sua abitazione a Palagonia in provincia di Catania e dopo 12 ripetute denunce. 

Nolfo, dopo aver ucciso Marianna con 6 coltellate al petto e ferito il padre intervenuto per difenderla, è andato a costituirsi consegnando il coltello che aveva mostrato alla moglie decine di volte dicendole: “Io con questo ti uccideró”. Oggi, Nolfo si trova in carcere dove sta scontando 20 anni per omicidio.

Ora la sentenza del tribunale di Messina riconosce l’inerzia nella condotta dei pm che costò la vita alla donna, e li ha condannati a risarcire i tre figli, rimasti orfani.

La sentenza, che riconosce la responsabilità civile del magistrato per i soli danni materiali, è destinata a diventare storica ed è “un’importante precedente perché di solito è molto complicato che vengano condannati dei giudici”. I legali catanesi, però, sono contenti a metà: la sentenza riconosce, infatti, la responsabilità civile del magistrato per i soli danni materiali, non per quelli morali patiti dai tre figli piccoli della coppia.

cq5dam-web_-738-462-2-590x260I tre figli della coppia sono stati presi in carico e adottati dal cugino di Marianna, Carmelo Calì, già padre di tre figli suoi. È stato lui a decidere di “fare causa alla legge” quando, nel 2007, oltre al danno si è aggiunta la beffa: gli aiuti economici, infatti, gli sono stati dimezzati quando ha formalmente adottato i bambini di Marianna. Si è arrivati così al processo davanti la Corte d’Appello di Messina e alla sentenza storica di oggi.

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