L’immigrazione senza controllo tutela il lavoro?
Continua l’approfondimento sulla questione immigrazione: la scorsa settimana ci siamo concentrati sul ruolo delle ONG, enti privati ormai quasi del tutto sostitutivi rispetto al ruolo che lo stato dovrebbe assumere nella gestione delle frontiere, offrendo così il fianco a un’immigrazione senza controllo. Abbiamo approfondito alcune tematiche come costi, scopi e modus operandi di queste organizzazioni. Per approfondimenti ulteriori sulla questione segnalo questo ottimo ed esaustivo articolo di Valigiablu.it.
Oggi entra nel nostro focus il rapporto tra il fenomeno immigrazione e la protezione dei diritti costituzionalmente garantiti al cittadino. Cercheremo di capire se l’attuale politica sull’immigrazione adottata dallo Stato italiano sia conforme a quanto previsto dalla Costituzione Italiana e dalle norme generalmente riconosciute di diritto internazionale: cercheremo quindi di comprendere se, nel 2017, un’immigrazione senza limiti (o se preferite un accoglienza sfrenata posto come obbligo morale, nonchè legalmente dovuto) sia legittima.
Immigrazione senza controllo ma con dignità?
La tutela dei confini e la gestione dei flussi migratori è una delle poche materie che il diritto internazionale rimette totalmente (o quasi) nelle mani delle nazioni sovrane (non impallidite, si dice proprio così). L’unica eccezione a questa regola generalmente riconosciuta dalle nazioni (e quindi costituente jus cogens, che, non fatevi spaventare dal latino, altro non sarebbe che il diritto internazionale generalmente riconosciuto, costituito dall’insieme di consuetudini accettate nel tempo dagli STATI) sono i trattamenti inumani e degradanti della persona umana, vietati dal diritto internazionale cogente.
Dato che la nostra Costituzione, fondamento delle regole e dei principi che disciplinano i conflitti sociali presenti nello stato italiano, si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, è naturale dire che nessuna norma di diritto internazionale o costituzionale impone allo stato italiano di accogliere illimitatamente un numero così alto di immigrati.
La tutela del lavoro trova il suo manifesto di diritto internazionale fondamentale nel testo dell’art.23 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi nel dicembre del 1948.
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.
Come giustamente ricordato dal Professor Antonio Papisca, lo scopo primario di questa disposizione che, seppur non ritenuta vincolante da molte nazioni, costituisce il fondamento della definizione generalmente riconosciuta dalle nazioni di tutela del lavoro, è riconoscere allo stato (e quindi alla volontà democratica espressa dagli elettori, cristallizzata in azioni di governo rispettose del dettato costituzionale) e non al libero mercato, il diritto a stabilire le scelte politiche per il settore del lavoro.
L’art.4 della nostra costituzione ci ricorda inoltre che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», una disposizione capace di costituire un contro-limite alle limitazioni della nostra sfera di competenza legislativa interna (ad esempio in materia d’immigrazione) derivante da norme pattizie internazionali.
Immigrazione e tutela del lavoro:
Secondo l’economista Ho-joon Chang, docente di economia presso l’università di Oxford «I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell’immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo.
Come si determina il massimo della immigrazione?
Non in base al mercato del lavoro “free” che, se lasciato al suo sviluppo incontrastato, finirebbe per rimpiazzare l’80-90 per cento dei lavoratori nativi, con i più “economici”, e spesso più produttivi, immigranti. L’immigrazione è ampiamente determinata da scelte politiche».
Il primo elemento di spicco frutto di questa riflessione era già stato affrontato qualche mese fa da Lineadiretta24.it, seppur non in maniera esaustiva. Il secondo dato, quello per cui il numero di immigrati presenti sul territorio non debba corrispondere a casuali situazioni di mercato, ma a scelte politiche ben precise, sembrerebbe evidenziare una connessione tra linee politiche adottate dal governo e interessi dell’oligarchia economica rappresentata da una fascia di popolazione sempre più ristretta e sempre più ricca.
Chang manda avanti la sua analisi, mettendo in risalto una visione economica del mondo totalmente coerente con ciò che a oggi è previsto dal diritto internazionale generalmente riconosciuto dalle nazioni sovrane: «I vari Paesi hanno il diritto di decidere quanti immigranti possano accettare e in quali settori del mercato del lavoro.
Tutte le società hanno limitate capacità di assorbire l’immigrazione, che spesso proviene da retroterra culturali molto differenti, e sarebbe sbagliato che un Paese vada oltre questi limiti.
Un afflusso troppo rapido di immigrati condurrebbe non soltanto ad un’accresciuta competizione tra lavoratori per la conquista di un’occupazione limitata, ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all’assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente.
Altrettanto importante, se non agevolmente quantificabile, è la questione dell’identità nazionale.
Costituisce un mito – a un mito necessario ma nondimeno un mito che le nazioni abbiano delle identità nazionali immutabili che non possono, e non dovrebbero essere, cambiate. Comunque, se si fanno affluire troppi immigrati contemporaneamente, la società che li riceve avrà problemi nel creare una nuova identità nazionale, senza la quale sarà difficilissimo mantenere la coesione sociale. E ciò significa che la velocità e l’ampiezza dell’immigrazione hanno bisogno di essere controllate».
Immigrazione senza controllo: le strutture d’accoglienza
Gli spunti sono assai numerosi, andiamo con ordine.
L’8 maggio il quotidiano “La Stampa” pubblica due articoli nettamente in contrapposizione:
Nel primo viene intervistata Tiziana Giovanna Costantino, Prefetto di Cagliari nominato non molti giorni fa, ne riportiamo qui di seguito uno stralcio particolarmente significativo:
La seconda è un’inchiesta dell’ottimo Andrea Malaguti, realizzata in Sardegna, capace di chiarire il modus operandi cui migliaia di privati stanno ricorrendo, incassando denaro pubblico, ai fini dell’integrazione dei richiedenti asilo. Come si evince dal pezzo «I pilastri del sistema sono due: lo Sprar (servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) gestito dai Comuni, e, appunto, i Cas, affidati a privati scelti dalle prefetture attraverso bandi pubblici o chiamata diretta. L’adesione al progetto Spar è volontaria. Su ottomila Comuni, cinquemila e trecento hanno detto no grazie.» Al momento per ogni coppia di strutture pubbliche ve ne sarebbero dieci private.
Ciò che si evince dall’inchiesta di Malaguti è che negli ultimi 2 anni siano stati moltissimi i privati (molte anche le cooperative virtuose) che, dato il segno rosso risultante dai libri contabili delle proprie attività imprenditoriali, hanno deciso di convertire le proprie aziende in CAS. Lucrandoci sopra grazie a intelligenti tagli sulle spese per i richiedenti asilo.
Questa situazione, a oggi ancora racchiusa in un breve-medio periodo rispetto all’inizio del fenomeno (correva l’anno 2015), rischia di degenerare in ciò che è stato profeticamente descritto dallo stesso Chang: «[…]ma porrebbe sotto stress anche le infrastrutture fisiche e sociali, come quelle relative agli alloggi, all’assistenza sanitaria, e creerebbe tensioni con la popolazione residente».
Inoltre, questa commistione tra immigrati e autoctoni assai desiderata dai free-borders e da tutto quel largo ventaglio di associazioni il cui unico nemico risulta essere, a oggi, quel limes capace a loro detta di scatenare conflitti atavici tra gli uomini, rischia di far venire meno quelle condizioni dettate dall’art.23 della Dichiarazione Universali dei diritti dell’uomo, condizioni retributive capaci di offrire alla persona umana e alla sua famiglia un’esistenza umanamente dignitosa.
Immettere centinaia di migliaia di richiedenti asilo in uno stato caratterizzato da disoccupazione strutturale all’11,6% (dati ISTAT aggiornati al primo trimestre 2017), dove gli investimenti pubblici sono da tempo assenti a causa di assurde regole europee sul deficit pubblico, significa destinare questi esseri umani allo sfruttamento (espressamente ripudiato dalla stessa Dichiarazione del’48) e dar vita a una lotta tra poveri, funzionale all’abbattimento della soglia salariale minima e quindi al più largo profitto di chi oggi muove i capitali nei confini europei. D’altronde non risale a troppo tempo fa la dichiarazione dell’economista Paul De Grauwe nell’ambito del dibattito sull’euro lanciato dal Sole24ore: «se si vuole restare nell’euro, quindi nell’impossibilità di poter tornare ad essere competitivi attraverso la leva del cambio che con la moneta unica non è più utilizzabile – [vi è per l’Italia la necessità ndr] di porre in essere una serie di misure dolorose che investano istituzioni politiche e mercato del lavoro (riduzione dei salari e contrazione delle garanzie contrattuali e di legge in favore dei lavoratori)».
L’accoglienza ad ogni costo (nel vero senso della parola) è oggi un mantra che, cercando di ergersi a postulato dell’agenda politica nazionale, rimane vuoto di significato. Questo per una serie di motivi qui di seguito riassunti:
- Un sistema di accoglienza, basato su questi numeri, è destinato a collassare, sia economicamente che per dinamiche sociali legate al territorio
- Solo 1/5 dei richiedenti asilo beneficia della protezione internazionale, gli altri (immigrati economici o climatici) rimangono a carico del sistema d’accoglienza a spese delle casse statali (ndr e abbiamo visto in che modo)
- Abbassamento della soglia salariale, influenza sul sistema previdenziale (Repubblica è arrivata a definire gli immigrati come “contribuenti netti”) e complessiva svalutazione del mercato del lavoro (come può una massa di disperati reclamare i propri diritti, soprattutto in uno stato dove l’agenda politica è ormai dettata dai mercati?)
- inesistenza di un diritto all’immigrazione o di norme di rango superiore che impongano l’accoglienza
Mentre distruggete la tastiera o lo schermo del vostro smartphone davanti a un simile mix di xenofobia, razzismo e quant’altro (è tutto frutto dell’intossicazione mediatica ricevuta nell’ultimo lustro), riconciliate la mente con le parole tratte da una rassegna di giurisprudenza costituzionale ad opera di Guido Corso, rinomato professore di Diritto Amministrativo:
«Il potere di ammettere o di escludere gli stranieri dal territorio nazionale è
conforme al diritto internazionale consuetudinario, al quale l’art. 10 co. 2 Cost.
rinvia, perché in questa materia opera in pieno principio della sovranità
territoriale. Nella sovranità è implicita la piena libertà dello Stato di stabilire la
propria politica nel campo dell’immigrazione, permanente o temporanea che sia, e
di ordinare a stranieri o a gruppi di stranieri, di abbandonare il proprio territorio
(CEDU, sent. 28 maggio 1985 § 67, Abdulaziz e al c. Regno Unito; 21 ottobre
1997, § 42, Bonjulifa c. Francia).
La discrezionalità richiamata dalla Corte Costituzionale, prima di essere il
frutto della pluralità degli interessi in gioco (la discrezionalità come ponderazione
di interessi), è inerente alla idea stessa di sovranità. Gli interessi pubblici
influiscono invece sulla determinazione dei flussi e sul contenuto concreto delle
politiche sull’immigrazione.
La portata dei flussi quale viene determinata annualmente (art. 3 co. 3 t.u.)
tiene conto sia delle esigenze del mercato del lavoro (o di certi segmenti del
mercato del lavoro), esigenze che solo gli immigrati sono in grado di soddisfare,
sia della capacità di accoglienza del paese (o meglio dei limiti di tale capacità).
Si può anche aggiungere che l’inesistenza di un diritto o di una pretesa
tutelata all’ingresso e al soggiorno nel paese, al di fuori delle scelte compiute in
tema di flussi migratori, è confermata dall’art. 10 co. 3 Cost. Se lo straniero al
quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche
garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo in Italia, lo straniero che non
si trovi in questa situazione non può vantare tale diritto».
Il professor Corso prosegue poi rammentando come nell’ordinamento giuridico italiano non sia sancito alcun diritto all’immigrazione. Motivo per cui lo sbandieramento da stadio in favore di un’accoglienza sfrenata può ben assumere la definizione di “esotica propaganda“. Una propaganda capace di mascherare fini socio-economici al giogo del grande capitale finanziario, con il mito dell’amore e della fratellanza, degnamente rappresentati da masse di nuovi schiavi utili ad abbattere i costi di produzione e a rendere più competitivo il paese, in nome dei principi (certamente non francescani) sanciti prima da Maastricht e poi da Lisbona, aprendo così la strada a nuovi investitori esteri (che per chi non lo ricordasse si scrive investimento, ma si legge debito dato che i profitti volano via oltre confine) sempre più affamati dall’ulteriore svendita delle risorse italiane: in fondo le tutele sociali rimaste da sbranare non sono poi così numerose.
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