Crisi in Venezuela: la fine di Maduro come quella di Salvador Allende?
Crisi in Venezuela. Ci si chiede se la fine di Nicolas Maduro possa assomigliare a quella di Salvador Allende. Assolutamente no, nel senso che potrebbe pure finire peggio!
Il Venezuela del 2017 non è certo il Cile del 1973, né sono rimaste immutate le strategie di destabilizzazione e le offensive mediatiche messe in moto a quasi cinquant’anni di distanza. C’è di mezzo una strategia di aggressione geopolitica, da parte degli Stati Uniti, che nel corso di questi decenni si è perfezionata in modo tale da non ripetere gli errori del passato. Perciò non sarà mai permesso che Maduro diventi un martire quale è stato Salvador Allende, ma si farà piuttosto in modo di presentarlo come un Saddam Hussein (sia perdonato l’incredibile paragone).
In questo senso la crisi Venezuelana potrebbe riservarci un epilogo peggiore di quella Cilena, poiché è al centro non solo di una guerra economica, politica e mediatica, ma di un’operazione su una più vasta scala di senso intesa a colpire l’identità, la storia e la memoria della rivoluzione bolivariana e del chavismo.
È lecito quindi, nell’ambito di questa operazione, parlare di manipolazione dell’informazione e dell’opinione pubblica, e sostenere che sul Venezuela non è più possibile una posizione che non sia di parte. Ci sono due parti, e in mezzo nessuna chance di mediazione, poiché è una guerra che si combatte anche sulla conquista dell’opinione pubblica internazionale e dunque ogni lettura, prima di leggere una riproposizione dei fatti frutto di un’interpretazione volutamente o meno faziosa, deve farsi consapevole.
Non è vero dunque che in Venezuela ci sono morti e che si muore di fame? Certo che è vero, ci sono in corso i preparativi di una guerra civile. Il punto sono le ragioni di questa crisi e le responsabilità nascoste. Il Venezuela è da anni al centro di una politica di destabilizzazione interna volta a rovesciare il corso socialista intrapreso dalla rivoluzione Bolivariana. Tentativo perpetrato e finanziato dagli Stati Uniti e da interessi economici nazionali e internazionali per i quali il Venezuela socialista rappresenta una grossissima spina nel fianco di un intero continente. Il discredito gettato addosso ai rappresentanti venezuelani nell’ambito del Mercosur e del Celac da parte di rappresentanti di paesi latinoamericani che hanno già svoltato a destra è la cartina di tornasole di una politica di disgregazione su larga scala che coinvolge l’intero sud-america ed è finalizzata a mettere fuori gioco i paesi che più hanno sostenuto il processo di coesione e di indipendenza politica ed economica (appunto Cuba e Venezuela politicamente e Brasile economicamente).
Pochi in Italia sono riusciti a uscire dai ranghi. Ci ha provato di recente Fabio Marcelli, in un suo articolo sul Fatto quotidiano, e sopratutto il quotidiano Il Manifesto, che con una serie di approfondimenti e interviste a Isaías Rodríguez (ex Procuratore generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela e ora vicepresidente della Commissione di attivazione per la nuova Assemblea Costituente) e a Sliw Rodriguez (deputata venezuelana del Psuv) ha fatto emrgere un quadro assai diverso rispetto a quello che ci viene presentato.
‹‹Il Venezuela ››, ha dichiarato Rodríguez ‹‹è anche un laboratorio per la propaganda di guerra. Con noi hanno sperimentato di tutto: golpe blando, guerra di quarta e quinta generazione, rivoluzioni colorate e primavere e finti autunni: tutto l’armamentario di violenza per far cadere il governo mantenendo le apparenze: per evitare di accusare il potere politico ed economico transnazionale di voler organizzare un colpo di stato contro il paese. Si è iniettato un odio razziale, politico, militare, di classi sociale, religioso, diplomatico, comunicativo. Per far questo si sono utilizzate organizzazioni internazionali, governi neoliberisti dell’America Latina e dell’Europa, blocchi commerciali, contrabbando, inflazione indotta dalla frontiera, paramilitari, organizzazioni religiose, interessi dell’oligarchia interna e partiti tradizionali che hanno perso credibilità››.
Perciò la scelta di Maduro di convocare una nuova assemblea costituente è l’unica via per cercare la pace nazionale a scapito degli interessi di chi, come vedremo in seguito, non ha alcun interesse nella pace stessa. Al contrario di quanto si creda, la scelta costituente rappresenta un azzardo e un porto tutt’altro che sicuro, che potrebbe spazzar via 18 anni di chavismo e di conquiste sociali oppure blindare i risultati ottenuti in una costituzione rafforzata e salvare il paese dalla guerra civile.
‹‹La Costituente›› continua Rodríguez ‹‹rappresenta un serio rischio per la continuità del progetto socialista nel paese. Per questo è tutt’altro che un autogolpe. Tocca ai cittadini decidere se abbiamo scelto il miglior cammino per sostenere i diritti sociali per gli esclusi e per la maggioranza. Con questa proposta del presidente, la posta in gioco è totale: tutto, o niente. Non è a favore del governo o dell’opposizione, trascende gli interessi dei partiti e cerca un compromesso a livello nazionale. Dobbiamo decidere tra la pace e la violenza, tra la costituente o la guerra civile, tra ordine costituzionale o disastro››.
Desta invece notevole apprensione l’intervista rilasciata da Thierry Meyssan, giornalista e attivista politico francese, a RT News dopo la sua permanenza in Venezuela. “Quando gli Stati Uniti lo desidereranno, cominceranno una guerra qui, in Venezuela”, ha dichiarato il giornalista senza troppi giri di parole evidenziando il fatto che la tensione sia arrivata al suo culmine. Meyssan fonda le sue argomentazioni sulla base delle rivelazioni seguite al de-secretamento di alcuni documenti del Pentagono del 2004, i quali hanno rivelato la metodologia statunitense degli anni successivi; consistente nel favorire situazioni di stabilità in paesi alleati o inattaccabili (la Cina per esempio) e al contempo di destabilizzare e minare paesi considerati nemici o pericolosi. ‹‹Quando abbiamo studiamo quello che è successo in Ucraina, in Siria o in Libia, abbiamo riscontrato esattamente la stessa metodologia, inizia sempre nello stesso modo: si accusa il governo di aver commesso crimini orribili, si inviano al paese forze speciali e mercenari al fine di sparare contro entrambe le fazioni manifestanti e contro la polizia (…). Ciò che crea enorme confusione, ogni lato è convinto che l’altro gli abbia sparato, e questo è l’inizio di un confronto interno››.
E in merito alla manipolazione dell’informazione, come emerge da un’altra intervista ripresa dal periodico Aporrea, Meyssan non ha dubbi: ‹‹la domanda da porsi è il motivo per cui nei media si imponga la menzogna. E ‘illogico, non ha senso, ma ovviamente la risposta è che questi media sono parte della politica militare dettata dagli Stati Uniti in guerra››.
La crisi in Venezuela è tutto fuorché un fenomeno endogeno causato esclusivamente dai difetti del chavismo; è bensì la testimonianza di quanto oggi qualsiasi narrazione che parli di un mondo diverso e fuori dagli squilibrati equilibri del neoliberismo e del Fondo Monetario Internazionale sia non solo avversata ma combattuta con ogni mezzo.
Per approfondire rimandiamo all’intervista integrale di Thierry Meyssan, al suo intervento ripreso da Aporrea; all’intervista del Manifesto a Isaías Rodríguez e ai suoi articoli sulla crisi venezuelana Uno e Due; e il video di seguito, di RT News, inerente la manifestazione in cui Maduro ha presentato la Costituente.
Ah, P.S., ne parliamo, en passant, del ragazzo chavista che i pacifici manifestanti contro il governo hanno provato a bruciare vivo?