Cinema: Smetto quando voglio
“Ho trentasette anni e quei 500 euro mi tenevano in vita Professò!”. Parola del neurobiologo Pietro, il bravo Edoardo Leo, che nel film Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, interpreta un giovane ricercatore precario dell’Università La Sapienza di Roma, fatto fuori dal solito raccomandato di turno.
In uscita nelle nostre sale il 6 febbraio distribuito da 01 distribution, l’opera prima del regista 31enne Sydney Sibilia racconta una generazione di trentenni, laureati e masterizzati, che di fronte alla crisi e al precariato decidono di diventare dei ricercati piuttosto che essere dei brillanti ricercatori ma precari. Due latinisti (Valerio Aprea e Lorenzo Lavia) che fanno i benzinai in nero per un cingalese, un antropologo (Pietro Sermonti) che elemosina lavoro in un officina che però non assume “gente che è stata tutta la vita sui libri”, un chimico (Stefano Fresi) che lavora come lavapiatti in un ristorante cinese, un macroeconomista (Libero De Rienzo) che gioca a poker e un archeologo (Paolo Calabresi) che è da undici anni precario e vive ancora con i suoi genitori. Sono questi i cervelli accademici, di norma in fuga dall’Italia, che per rimanere in un paese come il nostro nella disperazione della crisi decidono di fondare una banda. Così, anziché fare l’ennesima manifestazione sui tagli alla ricerca, la banda dei nerd si mette all’opera per creare e spacciare una nuova droga, eludendo l’elenco delle sostanze illegali pubblicato dal Ministero della Salute (uno strano buco legislativo tutto italiano). Unici veri ostacoli dell’operazione: il Murena (Neri Marcorè) a capo di una storica organizzazione criminale che controlla tutto il basso Lazio e Giulia (Valeria Solarino) che fa l’assistente sociale e di queste cose proprio non ne vuole sapere.
“Solo in una società come la nostra i più intelligenti finiscono ai margini”, dice il regista che per la storia ha preso spunto da un trafiletto di un quotidiano che titolava: “Quei netturbini con la laurea da 110 e lode”, e che raccontava la storia di due ragazzi laureati in filosofia con tanto di master che lavoravano per l’Ama. “Mi sono immaginato quei due netturbini che mentre spazzavano il marciapiede discutevano della Critica della Ragion Pura, da lì è nata l’idea che ha poi portato al film”, prosegue Sydney Sibilia che, avendo lavorato come animatore nei villaggi turistici e in una catena di fast food, anche lui del precariato ne sa qualcosa. Smetto quando voglio è una commedia originale e ipercitazionista, che prende ispirazione da serial quali Breaking Bad, sitcom come The Big Bang Theory e il film Lock&Stock, con una fotografia di forte impatto visivo, propria dell’era di Instagram. Si ride ma non manca la denuncia sociale: dalla precarietà, ai tagli all’università e alla ricerca, al mondo dei baroni universitari, consolidati in un sistema non meritocratico. “Nella realtà ho sentito storie talmente assurde che non ho potuto inserirle nel film perché non ci avrebbe creduto nessuno”, conclude il regista, che porta in sala uno spaccato ironico sui trentenni di oggi, diverso nello stile ma per certi contenuti simile a un’altra bella opera prima uscita il mese scorso dal titolo Spaghetti Story. Insomma spazio ai giovani registi e attori trentenni precari!