Web tax: l’Italia vuole tassare i rendimenti dei grandi del web

Solo in Italia, il giro d’affari dei colossi del web supererebbe la cifra di 1,7 miliardi di euro. Non stupisce dunque il tentativo da parte del governo di introdurre una normativa per tassare un settore che in effetti fino a pochi anni fa non esisteva, considerando che in soli 4 anni ha avuto un incremento di rendite del 130,3%. Un primo tentativo di introdurre la web tax risale al 2013, quando la legge finanziaria 2014, avrebbe dovuto inserire una misura, prima sospesa e poi abolita, che vietava alle imprese di acquisire servizi pubblicitari on line da aziende che non fossero munite di Partita Iva italiana.

Dopo il vuoto normativo che ne è seguito, l’idea di arrivare a un accordo internazionale sulla web tax ha preso forma nel comunicato finale del G7, tenutosi a Bari nei giorni scorsi, dove proprio l’Italia avrebbe annunciato il “primo passo” in questa direzione. Alla Camera, infatti, si sta esaminando un emendamento presentato in Commissione Bilancio dal presidente Francesco Boccia che, sulla scia dell’accordo siglato dall’Agenzia delle Entrate con Google che ha versato già 306 milioni di euro per gli anni 2002-2015, prevede una norma “transitoria” per permettere al fisco italiano e ai giganti di internet di raggiungere accordi preventivi. Il comunicato finale del vertice di Bari, incarica l’Ocse di stilare una prima serie di proposte per arrivare a un modello comune di tassazione delle multinazionali del web già per marzo del prossimo anno, vedendo la necessità di “fare progressi” e “valutare gli sviluppi legati alla digitalizzazione dell’economia”. Il ministro dell’Economia Padoan ha ricordato che in particolare con gli “over the top” quali Facebook, Apple e Google, “vanno stabiliti rapporti di dialogo continuo, ed è quello che la nostra amministrazione fiscale ha fatto con risultati estremamente importanti in termini di recupero di gettito fiscale”.

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@vale_gallinari