I Paesi emergenti tra illusione e crisi
L’attuale crisi non ha risparmiato le economie emergenti. Soprattutto dal punto di vista finanziario, la Cina, la Russia e i cosiddetti Brics risultano fortemente colpiti a giudicare dall’andamento delle loro borse. A livello finanziario, infatti, questi Stati sono tutti legati tra loro e coinvolti in una crisi valutaria destinata, secondo Moises Naim, a durare fino a che non ci saranno cambiamenti radicali per il lungo periodo nelle politiche economiche interne.
L’andamento delle borse ha seguito quello della domanda interna ancorata al ritorno dei capitali dalle aree periferiche a quelle centrali e il calo della domanda cinese, quindi a una dinamica ascendente ne è seguita subito una discendente.
Per l’esperto di economia internazionale, le economie emergenti hanno subito una brusca frenata con la crisi degli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda il Brasile e i Paesi dell’America latina, senza riforme strutturali e politiche fiscali e monetarie bilanciate, presto saranno tutti più poveri.
C’è bisogno di scelte macroeconomiche importanti a livello globale per poter risollevare le sorti finanziarie di tutto il mondo.
In particolare la Cina e la Russia sono due modelli di sviluppo che hanno avuto negli ultimi anni una grande espansione ma altrettanto rapidamente stanno cedendo le loro istituzioni politico-economiche. Le risorse energetiche della Russia alimentano in grande misura il bilancio statale, le esportazioni sono basate sul petrolio e sul gas, mentre per quanto riguarda gli altri tipi di importazioni, come quelle alimentari, agricole e di alcuni settori industriali, la Russia è dipendente dallo scambio con l’estero. La Cina, invece, sovrappopolata e con grandi capacità di manodopera, con il sistema creditizio che pompa gli investimenti economici e il sistema industriale in grande espansione e diversificazione in diversi settori, si trova in interdipendenza con i Paesi dell’America Latina e i Brics per quanto riguarda le risorse alimentari, agricole e le esportazioni. Questi con riferimento a Brasile, Venezuela, Messico e Perù non hanno rallentato la loro produzione ma le loro politiche fiscali paiono sane e stabili. Il punto sono le politiche macroeconomiche dei due colossi quello cinese e quello russo, legati al Sudafrica per lo scambio di materie prime, in particolare minerarie per il mercato elettronico cinese e agli altri Stati sudamericani per la fornitura di risorse energetiche attraverso il mercato russo. In questo senso anche la Turchia, l’Ucraina e la Thailandia sembrano seguire le sorti di queste due grandi economie. La finanza russa oscilla insieme ai prezzi del petrolio mentre quella della Cina segue le logiche speculative degli investimenti di capitali, del credito e delle borse mondiali, perciò le economie emergenti a queste interconnesse sono strettamente legate ai periodi di recessione e crisi. A parere di Naim, è indubbio che queste strutture economico-finanziarie complessivamente hanno subito negli ultimi anni un rallenty. L’iniziale entusiasmo per la crescita esponenziale del Pil di questi Paesi sta lentamente scemando per prospettare uno scenario di profonda crisi globale, soprattutto istituzionale. Le organizzazioni internazionali si stanno muovendo, da tempo, per provvedere a riforme strutturali in senso inter-governativo con accordi regionali ma il sistema pattizio internazionale non sempre assicura una reale incidenza sulle politiche macroeconomiche interne agli Stati, mentre può sicuramente rappresentare una forma di sostegno per quanto riguarda crediti, investimenti e finanziamenti, attraverso fondi internazionali e strutture di supporto al commercio e ai mercati. Inoltre a livello sopranazionale si possono dettare stabili direttrici per politiche monetarie e di cambio condivise.
In conclusione emerge un dato di fatto, Brasile, India, Russia, Cina e Sudafrica stanno rallentando e i loro ritmi di crescita non sono più quelli di una volta e il rischio di contagio è alle porte per tutte le altre economie. L’apparente boom della borsa russa e cinese non è una giustificazione profonda per il diffuso ottimismo con cui si valuta questa parte di Mondo, di certo non rappresenta un parametro di misura reale per stabilirne la ricchezza complessiva. Al contrario sembra essere un dato per definire l’attuale crisi come finanziaria e generalizzata: vi sono i paesi ‘centrali’ con mercati finanziari enormi e liquidi e quelli ‘periferici’ con mercati finanziari comparativamente minuscoli. Il flusso di capitali dal centro alla periferia funziona fino a che il mercato finanziario e creditizio assicura ad entrambi rendimenti e tiene alta la produzione mentre ciò che ora sta accadendo è un reflusso di capitali dalla periferia al centro, senza un ritorno alle zone periferiche. L’innalzamento dei tassi di interesse contribuisce a mantenere bloccati i flussi di capitali finanziari sia in centro che in periferia. Moises Naim ritiene che una soluzione per gestire queste difficoltà potrebbe essere il contenimento dell’inflazione attraverso politiche fiscali e monetarie stabili, concertate in modo indipendente secondo la struttura di ogni singolo Stato, suggerendo così un maggior controllo per gli investimenti esteri alla base dell’interdipendenza tra i Paesi emergenti.
Eva Del Bufalo