Il Governo silura Cantone «come peggio non si poteva»
Governo silura Cantone
Il Governo silura Cantone, soppresso all’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) il diritto di sorveglianza preventiva sulle gare d’appalto prima che intervenga la magistratura. Cantone tuona: «L’Italia è il Paese di Masaniello» mentre il Governo cerca di correre ai ripari.
Un «errore» sostengono da Palazzo Chigi, scusa poco credibile se si pensa che il decreto delegato che ha soppresso a Raffaele Cantone i poteri di vigilanza è uscito trasformato dall’ufficio legale della presidenza, il 13 novembre, per passare al vaglio d’approvazione del Consiglio dei Ministri, alla presenza sia del sottosegretario Maria Elena Boschi che del ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio. Svista collettiva? Grave in ogni caso. Intanto il premier Gentiloni di ritorno dagli States sta cercando di correre ai ripari, bacchettando la Boschi: «Come peggio non si poteva, non dovevamo uscirne così». L’abbaglio dipenderebbe da un parere del Consiglio di Stato con la modifica del codice degli appalti che ha soppresso il diritto di Anac a rivolgere alla stazione appaltante in corsa, in errore o violazione di legge, una “raccomandazione vincolante”. E per quanto una “raccomandazione”, seppur vincolante, rimanga sempre una raccomandazione, la decurtazione ex abrupto di tale prerogativa di fatto priva Anac dei suoi poteri. La manovrina però suscita non pochi sospetti se si pensa che il Consiglio di Stato è composto da quei magistrati il cui presidente, Piercamillo Davigo, è lo stesso che aveva sollevato non poche perplessità sull’utilità degli “sceriffi dell’anticorruzione”. Senza contare che a ciò si aggiunge una “svista” alquanto sospetta per la quale tutti i componenti del Cdm, compresa la Boschi cui compete espressamente il coordinamento dei testi e la responsabilità sugli uffici legislativi, non si sarebbero accorti di nulla.
In questo clima si inserisce il coup the théâtre dell’ex premier Matteo Renzi, che rivendica il suo ruolo nella vicenda: «Colpiscono te per colpire me» afferma; mentre il Movimento 5 stelle, per bocca di Luigi Di Maio, dà fiato alle trombe su Twitter: «È inutile cercare la manina che ha tolto all’Anac i poteri sugli appalti. La manina è del Pd». Non ci va per il sottile nemmeno il diretto interessato, Raffaele Cantone, che nel salotto di Giovanni Minoli dichiara: «L’Italia è il Paese di Masaniello», mentre sul codice degli appalti: «È stata una rivoluzione copernicana solo che si è fatta retromarcia su molte cose e non si è data possibilità di attuarlo. Credo che fosse una buona riforma ma il fatto di andare avanti e indietro è un classico del nostro Paese». Troppe, in questa vicenda, le domande sospese a partire dal ruolo di Anac nel caso Consip che non solo coinvolge il padre dell’ex premier ma anche il fratello dello stesso Cantone. È quindi un caso che il “ridimensionamento” di Anac arrivi proprio alla vigilia delle primarie nel Partito Democratico? No, se si pensa all’ostilità che le toghe hanno sempre avuto, tanto verso l’affiancamento di Anac nelle inchieste sugli appalti, quanto verso tali pseudo vincoli di legittimazione politica su tali questioni.
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