La terza squadra della città. Madrid, Roma e Manchester
La terza squadra di una città non ha una vita facile. In alcune città si delinea chiaramente quale è la prima e quale la seconda (Madrid, Barcellona), in altre su per giù si equivalgono (Milano, Genova), in altre ancora il divario tra le due è troppo esagerato (Torino), in altre ancora ci si accapiglia quasi quotidianamente su quale sia la prima squadra della città e quale la seconda (Roma). Anche perché bisognerebbe anche stabilire cosa significa. Prima squadra è quella che è stata fondata prima o quella che ha il maggior numero di tifosi? O quella con più trofei? Sulla terza, invece, in genere non ci si accapiglia granché. Ma cercando tra queste si trovano storie interessanti.
A Madrid è evidente che se il Real è la prima e l’Atletico è la seconda, il Rayo Vallecano è sicuramente la terza squadra, senza neanche l’ambizione di diventare prima o seconda. L’ambizione del Rayo è da sempre la stessa: essere la squadra della Vallecas, vale a dire il quartiere con il reddito più basso della capitale spagnola. Una sorta di squadra dei poveracci madrileni. Poveri sì, ma con dei solidissimi principi avendo come stile di vita l’aiutarsi l’un l’altro. Che poi una volta Vallecas era un paese e solo in un secondo tempo è stato inglobato dalla città di Madrid. Ma la squadra ha mantenuto chiara una sua connotazione popolare e proletaria. Il Rayo Vallecano è diventato un simbolo identitario, altro che la terza squadra di Madrid. Infatti, mentre il Real, lo dice il nome stesso, è la squadra del potere e l’Atletico è la squadra di chi si oppone al potere, il Rayo è la squadra di chi sta fuori da queste teorie per loro lontane. È la squadra di chi deve mettere il pane a tavola la sera, cioè i tifosi più accesi, i Bukaneros, che si dichiarano fieramente antifascisti (mentre il Real era notoriamente la squadra franchista). Sono la terza squadra e son fieri di esserlo. A dire il vero si contende il ruolo col Getafe, paese dell’area metropolitana di Madrid che, però, non essendo stata inglobata dalla capitale, non si può considerare proprio una squadra madrilista.
Del resto anche a Roma la situazione è poco chiara. La terza squadra è cambiata spesso nel corso degli anni. Per anni lo è stata la Lodigiani, diventata poi Cisco Roma, diventata poi Atletico Roma, diventata poi nulla dopo il fallimento. A quel punto lo scettro se lo sono conteso 3 squadre: il Trastevere, per motivi storici, poiché più antico della Roma stessa; per un periodo l’Astrea, i cui giocatori sono guardie carcerarie, che anni fa è anche arrivata in C2; poi ci fu la Lupa Frascati che poi abbandonò Frascati e si trasferì a Roma cambiando il nome in Lupa Roma ed è al momento a tutti gli effetti la terza squadra della capitale. Solo che c’è un però. Si chiama Lupa Roma, ma gioca a Tivoli. Ma la squadra è romana a tutti gli effetti e grazie alla Lupa, Roma è l’unica città ad avere tre squadre nel calcio professionistico. E da poco tempo si è insediato un nostro vecchio conoscente, Gianni Salzano. Ne avevamo parlato in qualità di vice presidente del Savoia e perché risultava essere il primo gay (ovviamente “dichiarato”) del calcio italiano. Lo avevamo intervistato e ci aveva fatto piacere scoprire che poi in Italia c’erano in fondo poi molti meno tabù di quel che credevamo. Il nostro Salzano, che è un tipo poliedrico, imprenditore sia nella sanità che nella ristorazione, ha perfino un’agenzia di spettacolo, da quando è diventato il nuovo Presidente della Lupa, ha dato una scossa alla squadra anche se se nelle ultime partite l’effetto sembra un po’ svanito.
Fino a poco tempo fa ci giocava Gaetano D’Agostino, ex Roma, ex Udinese, a un passo dal Real Madrid salvo poi finire la carriera calcando i prati di Tivoli, mentre in panchina siede uno che è stato un gran pallino fantacalcistico di colui che scrive, il grande Bomber David Di Michele, al quale è affidato il compito di centrare la salvezza. La Lupa ufficialmente è di nascita recente, anche se la Lupa Frascati dalla quale è nata (e nella quale c’era sempre Salzano), aveva una storia più antica, ma potrebbe, in una città nella quale si vive di Roma e Lazio e basta, nella quale il basket, il volley o il rugby hanno avuto brevi periodi di successo salvo poi tornare nel semianonimato, trovare un suo spazio e rosicchiare un po’ di tifosi alle due squadre più celebri, specie alla Roma. E nel prossimo paragrafo spiegheremo il perché.
C’è una città dove la terza squadra è qualcosa di “eroico” nel calcio moderno. Una squadra che rifiuta il modello tutto business del modello inglese e spagnolo. Questa città è Manchester. Una città dove c’è una squadra, il Manchester United, che è stata per lunghissimo tempo la sola e unica incontrastata prima squadra della città, e poi c’era il City. Era dura essere del City, Colin Shindler ci scrisse anche un libro, “La mia vita rovinata dal Manchester Utd”, poi arrivarono i soldi degli sceicchi e anche i successi, compreso uno scudetto vinto all’ultimo secondo proprio ai danni dello United con Mancini in panchina e Balotelli e Dzeko in campo. E poi c’è la terza squadra. Si chiama Fc United of Manchester. E il fatto che il nome sia tanto così simile a quello di una delle altre due non è affatto casuale. Nel 2005 l’americano Malcom Glazer scalò la proprietà del Manchester United acquistando i titoli della squadra sul mercato diventandone il proprietario. Alcuni tifosi si erano organizzati in associazioni per comprare molte azioni sul mercato per avere così voce in capitolo sul prezzo dei biglietti e altro, e anche per contrastare i tentativi come quello di Glazer. Persero ma non si arresero. Di quel calcio fatto di stadi per ricchi dove non potevi più stare in santa pace con gli amici senza troppe regole come una volta non ne volevano sapere. Figurarsi di americani che Manchester nemmeno sapevano dove si trovasse. Loro amavano la squadra come espressione della città, non un business per affaristi arrivati da chissà dove. Quindi abbandonarono la squadra che avevano sempre seguito e sostenuto. E fondarono lo United of Manchester. Tutti danno una mano, gratis, tutti sono proprietari, tutti hanno diritto di voto per qualunque decisione riguarda la squadra. Una squadra utopica, ma che continua a funzionare, per quanto si trovi ancora in settima serie, ma che ha creato un legame col territorio che rappresenta. Ha già avuto tre promozioni e ambisce a migliorare ancora e a costruire uno stadio più grande. Niente pay tv che decidono tutto, assolutamente nessuno sponsor sulla maglia, la voglia di dimostrare che un calcio diverso è possibile e che può dare risultati. “Abbiamo una lezione da spiegare al mondo del calcio: i tifosi possono possedere e gestire con successo una società calcistica. Le squadre sono state ‘sottratte’ ai loro unici, veri proprietari. Noi ci siamo riappropriati di quello che ci era stato tolto, e vogliamo essere da esempio per tutti”.
A Roma, sponda giallorossa, c’è una proprietà americana, uno stadio dove a causa di regole eccessivamente restrittive e in molti casi assurde, per cui molti hanno perso la voglia di andare. Magari qualcuno stanco di tutto questo potrebbe scoprire quanto è più bello tifare una squadra più piccola senza il timore di dover pagare una multa per esserti scambiato di posto col tuo amico. Un calcio più genuino. Tanto più che i colori della Lupa sono, guarda un po’, il giallo, il rosso, il bianco e l’azzurro. Per non far torto a nessuno. E chissà che la Lupa Roma non riesca nell’impresa dove tutte prima hanno fallito. Riuscire a togliere il monopolio dell’attenzione a Roma e Lazio. Essere a tutti gli effetti e per lungo tempo la terza squadra di Roma.
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