Caso Consip: il triangolo Lotti-Renzi-Romeo

Il caso Consip è esploso in Parlamento. Implicati: il ministro dello Sport, Luca Lotti, fedelissimo di Matteo Renzi e il padre di quest’ultimo, Tiziano Renzi, per un’inchiesta che dalla procura passa ai quotidiani fino ad approdare in aula. Un vero e proprio scandalo sinora respinto dalla maggioranza grazie all’appoggio di Forza Italia, ma che se dovesse essere confermato comporterebbe più di un guaio per il segretario ad interim del Partito Democratico.

 

Due i filoni: l’uno agganciato a Tiziano Renzi, il quale presumibilmente avrebbe allacciato rapporti fino a ricevere promesse in denaro dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, attualmente in carcere per aver corrotto un funzionario CONSIP. L’altro riguardante l’attuale ministro, Luca Lotti, accusato di aver spifferato ad alcuni dirigenti dell’ente che c’era un’indagine in corso. Dei due il primo apparirebbe il più importante laddove tutto ruota attorno alla figura di Alfredo Romeo che, come si è detto, è già stato arrestato per corruzione. Romeo infatti avrebbe corrotto alcuni funzionari del Centro Acquisti della Pubblica Amministrazione al fine di accaparrarsi un appalto, il c.d. «Facility management 4», valente la cifra di 2 milioni di euro. Una storia tutta all’italiana che vede da un lato il classico imprenditore, dall’altro un funzionario pubblico e dirimpetto un fantomatico “mediatore”. Chi fu il funzionario è cosa nota: Marco Gasparri, che dopo aver scelto di collaborare con la magistratura ha confessato un utile di tornaconto pari a 100 mila euro in due anni. Chi fu il mediatore, invece, è ancora tutto da scoprire anche se i sospetti ricadono su Tiziano Renzi. Scrivono i magistrati che Romeo avrebbe attivato una catena di favori prima promettendo soldi al fine di incontrare papà Renzi, poi promettendone altri affinché quest’ultimo facesse pressioni su Luca Lotti e Luigi Marroni, presidente del centro acquisti. A questo punto si apre il secondo filone d’indagine, forse considerato il più debole, coinvolgente direttamente il ministro. La vicenda, in questa parte della storia, acquista i tratti del miglior commissario Poirot. Tant’è che i capi d’accusa si reggono tanto sulla base di intercettazioni in cui Romeo fa riferimento a presunti contatti “ai più alti livelli” quanto su pizzini ritrovati in discarica che i magistrati ritengono provenire dagli uffici di Romeo, recanti una serie di lettere puntate attribuibili ai sopracitati: T. (per Tiziano Renzi), L. (per Luca Lotti) e M. (per Luigi Marroni).

 

Certo è che di pagamenti a favore del padre di Matteo Renzi non v’è ombra, ma v’è ombra anzi v’è la dichiarazione del presidente, Luigi Marroni, di essere stato avvertito dallo stesso Lotti in merito all’indagine in corso sul suo conto. Da qui il fondato sospetto di favoreggiamento e rivelazione di segreto a carico del ministro. E mentre Marroni stava facendo bonificare guarda caso il suo ufficio, Luca Lotti da Palazzo Chigi certo non poteva prevedere di doversi ritrovare a respingere accuse del genere. In ogni caso una certezza ad oggi c’è, e cioè che grazie allo scambio di voti tra il Partito Democratico e Forza Italia in aula si sono salvate capre e cavoli. La mozione di sfiducia contro l’attuale ministro dello Sport è stata respinta mentre il senatore Augusto Minzolini, condannato in via definitiva a due anni per peculato, in barba alla legge Severino, continuerà a sedere tra gli scranni del Transatlantico.

 

@FedericaGubinel

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