Le vere ragioni della crisi greca
Per parlare di crisi greca è opportuno partire da un’osservazione: vi ricordate il torrido luglio del 2015 quando, in occasione del referendum sulle politiche di austerity in Grecia, bande di giornalisti spediti da media di tutto il mondo assediavano Piazza Syntagma con dirette televisive estenuanti? I salotti televisivi trabordavano di guru pronti a puntare il mirino contro il popolo greco, reo di esser troppo spendaccione\sornione e costretto così a dover ripagare col sangue il proprio ineludibile debito.
La risposta è no? Rinfreschiamo la memoria ai più negligenti:
Parole e musica di Monti Mario, passato alla storia come il Primo Ministro dei tagli lacrime e sangue alla spesa pubblica. I più attenti si staranno chiedendo: «Ma cosa c’entra, è una trasmissione dell’autunno 2011? Erano tempi non sospetti!». Ah si? Provate a dare un’occhiata qui.
A questo punto, memori di quei tempi funesti in cui il Partenone riempiva h24 i nostri schermi televisivi, verrebbe da chiedersi come mai sia “improvvisamente” sceso il buio sulle vicende elleniche. In quest’approfondimento proveremo a rispondere a questa, come ad altre due domande:
- cos’è veramente successo alla Grecia?
- come sta oggi il popolo greco?
Lo faremo sfruttando dati economici, uno strumento spesso millantato nei media di massa. Partiamo subito da un esplicativo grafico, capace di rispondere non solo alla prima, ma anche alla seconda domanda (e perchè no, anche alla terza). Il perchè lo scoprirete leggendo l’articolo, anche se la risposta è piuttosto abbordabile.
Come nasce la crisi greca
Seguendo un ordine cronologico, partiamo dalla seconda domanda e per rispondere proviamo a ricordare alcuni dei più grandi stereotipi cui ci hanno abituato nel tempo.
Tra gennaio e maggio 2015 (ma non solo) ce ne hanno raccontate di tutti i colori: la Grecia, paese alle porte d’Europa che vanta 10 milioni di abitanti, sarebbe uno dei paesi più corrotti, con l’età pensionistica più bassa in Europa, in una crisi profonda per colpa del suo debito pubblico e con un settore pubblico gestito malamente e sovraccarico di dipendenti. Queste cose non le ha ripetute a mo di mantra l’autore di questo sfortunato esperimento editoriale, ma, solo per fare un esempio, Simona Bonafè, eurodeputata del Partito Democratico (Non vi basta l’esponente del pd? Fatevi un giro qui, non ce ne voglia la RAI).
Qual’era il succo del dibattito? costruire attorno al cittadino medio greco l’immagine di una creatura per natura spendacciona, corrotta e noncurante del fatto che tutti i suoi sprechi stessero ricadendo sulle spalle dei poveri contribuenti europei impegnati (a suon di tasse) nel suo salvataggio. Circa questo punto la Sig.ra Bonafè ha addirittura operato un parallelo tra “lo sventurato operaio di Melfi e il furbo albergatore ellenico” (sempre qui).
Siete ovviamente liberi di dar più credito a queste persone, piuttosto che al sottoscritto. Ma i dati economici che Grecia raccontano?
I greci non lavorano
Per smentire questa accusa, una delle più comuni, è sufficiente osservare i dati eurostat circa la media di ore lavorative settimanali:
D’accordo, i greci lavoravano mediamente più ore a settimana del tedesco, ma chi ci dice che non spendessero quel tempo a girarsi i pollici? Ce lo dice l’OCSE, in particolare raccontando che nel periodo 2001-2007 (fase di gestazione della crisi) la Grecia fosse uno dei paesi a più forte crescita della produttività media del lavoro.
I greci avevano un’eccessiva spesa pubblica = debito pubblico elevato
Altra falsità. Abbiamo preso in prestito (un pò come la Grecia ha fatto con altri soggetti, ne parleremo tra poco) un grafico dal blog Goofynomics.blogspot.it di Alberto Bagnai: questo mostra le medie dei dati eurostat sul rapporto tra occupati totali e occupati delle pubbliche amministrazioni (per chi volesse i dati analitici, qui): il risultato è abbastanza insolito.
Cos’altro? Pensioni d’oro, eccessive vacanze per i lavoratori, stipendi troppo elevati, Età pensionabile bassissima e molto altro. Ci limitiamo a segnalarvi questo post di Vladimiro Giacchè, basato sui dati, confermandovi che troverete risposte tanto eloquenti quanto quelle appena viste, anche per questi ultimi aspetti.
Avete le idee confuse? Forse questa copertina della Bild potrà aiutarvi.
E perchè no, anche la proposta del governo finlandese (sì lo so, il Partenone si trova proprio sull’Acropoli, ma è bene comunque allargare il campo d’indagine).
Questa ventata di razzismo (perchè di questo si tratta) da nord è dovuta alle bugie appena viste caldeggiate per mesi dai nostri media.
Allora perchè la crisi?
Ottima osservazione, dato che abbiamo appena smentito (solo alcune, per le altre avrete imparato come muovervi) le più colossali fake news dell’ultimo decennio.
Altre due note cause della crisi, spesso richiamate dai media (qui e qui), sarebbero l’aver truccato i conti per entrare a far parte dell’eurozona e l’aver contratto eccessivi debiti con l’estero senza aver tuttavia la possibilità di saldarli.
Avviso ai naviganti. Dal ’98 fino alla crisi del 2007 (e anche successivamente, vedremo in che modo) la Grecia si è sempre indebitata con l’estero, come mostra chiaramente questo grafico offerto dalla Banca Mondiale:
Nel periodo tra il 2000 e il 2005 l’indebitamento con l’estero oscillava tra il 7 e l’8% del pil: secondo uno studio condotto da due importanti economisti come Roubini e Manasse è sufficiente che tale dato economico si attesti al 4% del prodotto interno lordo per presagire l’imminente arrivo di una crisi.
Questo dimostra che nel 2005 erano già in molti ad aver ben presente che la Grecia fosse in una spirale negativa, e quindi impossibilitata a onorare il proprio debito.
Come testimoniato da questo interessante documentario, nonostante questa consapevolezza fosse insita nei prestatori esteri, la Grecia fu riempita di crediti nei modi più inimmaginabili: mutui concessi senza garanzia, prestiti per acquistare beni di ogni tipo e molti altro. Il cittadino comune veniva contattato telefonicamente, assediato dalle pubblicità e costretto a subire (inconsciamente) altri mezzi di questo tipo. Ovvio che i greci, lo ricordiamo in un periodo di crescita economica, accettarono di buon grado questo invito a indebitarsi, non sapendo però che sotto il tappeto qualcosa languiva.
Dobbiamo quindi porci un primo quesito: è più opportuno prendersela con chi ha prestato denaro a iosa, con la consapevolezza di avere di fronte un paese in ginocchio, o chi ha accettato tale denaro ignorando la situazione? Lasciamo questa domanda in sospeso e affrontiamo il secondo tema.
Si, è vero, la Grecia ha truccato i propri conti per entrare nell’euro (il rapporto deficit/pil è stato oculatamente mascherato, anche grazie al costoso “aiuto” delle grandi banche d’affari internazionali) e con un motivo ben preciso: la Germania aveva bisogno di economie periferiche meno forti, come quella greca (e dell’Italia) all’interno dell’eurozona per rendere più debole l’euro e aumentare le proprie esportazioni. E non è un caso che Berlino sia l’unica tra i 27 (assieme all’Olanda) a essere da anni in surplus sulla bilancia commerciale (e le regole europee che lo proibiscono?).
A dirlo, ancora una volta, non è l’autore di questo articolo, bensì studi accademici internazionali e addirittura Vincenzo Visco, ministro delle finanze e protagonista del nostro “fortunato” ingresso nell’eurozona. Uno degli stessi artefici del nostro ingresso nella moneta unica, a distanza di dieci anni riconosce il vero e primario scopo della stessa. Agganciarci a un cambio fisso per evitare svalutazioni competitive e rendere così fiorenti le esportazioni tedesche (se non vi fidate di me, forse vi farà bene sentire queste parole da Paul Krugman, premio nobel per l’economia).
Ma torniamo alla Grecia. Fino al 2010 furono in molti a ritenere che questa rispettasse il rapporto del 3% tra debito e pil (teoricamente imposto dai vincoli europei). Poi improvvisamente ci si accorse che mentre tutti erano tranquilli, quest’ultimo era in realtà schizzato sopra il 15%. E che convenienza avrebbe avuto la Germania a portarsi dietro un “carrozzone” simile? Una delle risposte risiede in questo grafico:
Dal grafico non si evince, ma la Grecia non solo ha speso in armamenti più della Francia (potenza nucleare), ma addirittura più di qualsiasi altro stato europeo, arrivando quasi a doppiare la media dei 27. La ragione ce la offre la storia, dovendo far qui riferimento all’eterno conflitto tra Atene e Istanbul. Ma dato che sulle isole elleniche non crescono conifere ricche di tanks e ak-47, Atene deve aver necessariamente riempito i portafogli di qualchedun altro al di fuori dei confini nazionali: indovinate un pò di chi stiamo parlando?
Avete indovinato, della Germania. Germania che tra l’altro viene sempre indicata come esempio di purezza, serietà e stabilità (nel caso in cui abbiate fatto i tanto amati compiti a casa l’avrete sicuramente sentito nel video d’apertura dalla bocca del signor Mario Monti), quando in realtà, non riuscendo a piazzare le proprie risorse militari all’estero con contrattazioni che rispettino la legge, ha dato vita, solo per fare un esempio, al caso Thyssenkrupp. Ma loro sono l’esempio da seguire, non un comune e sporco mediterraneo condannato all’espiazione di un non ben specificato atavico peccato. D’altronde anche il caso Siemens, non meritevole di attenzione da parte dei media, ce lo insegna.
Un ultimo e fondamentale passaggio prima di unire i puntini. Ridurre il discorso della crisi greca alla favoletta del debito pubblico mostruoso, è un grande errore: la situazione critica di Atene sarebbe infatti legata sostanzialmente al debito privato, senza nulla togliere al fatto che sì, effettivamente un debito pubblico spropositato può essere un problema, ma non nei termini della narrazione quotidiana utilizzata dai media. Spieghiamolo con un altro grafico preso a prestito da goofynomics (non ce ne voglia Bagnai).
Sembrerà strano, ma questa spiegazione abbastanza banale è stata suffragata, correva l’anno 2013, dal vicepresidente della Banca Centrale Europea Vitor Costancio: «Come risultato, l’afflusso di finanziamento relativamente a basso costo si è trasformato in un enorme boom del credito nei paesi che ora sono sotto stress. Come sappiamo, il credito non è stato perfettamente ottimizzato da agenti privati razionali. Dal lato della domanda, in un contesto di bassi tassi di interesse, i consumatori e le imprese, anticipando la crescita futura, la consegna anticipata dei consumi e degli investimenti come buoni ottimizzatori intertemporali. Dal lato dell’offerta, le banche europee e i mercati finanziari non si sono comportati secondo la teoria nella gestione del rischio di credito. E’ stato questo che ha poi portato al surriscaldamento dell’economia, dei salari e le pressioni sui prezzi, alle perdite di competitività e ad un alto deficit di bilancia dei pagamenti».
Chiaro? In caso contrario date un’occhiata qui:
Facile immaginare, una volta scoppiata la bolla finanziaria del 2007 negli Usa, dove le banche tedesche (fortemente esposte su quel fronte) siano andate a parare: esatto, non a Washington (figurarsi), bensì proprio ad Atene, costringendola a riforme lacrime e sangue al fine di ottenere cospicui prestiti dalla cosiddetta Troika.
Torniamo dunque al primo grafico: impressionante come, tra il 2008 e il 2013 le banche tedesche e francesi abbiano cospicuamente ridotto la propria esposizione nei confronti della Grecia. Come avranno fatto? Vi siete mai chiesti che fine abbiano fatto quei danari che l’ignara (?) Bonafè riteneva stessero passando dal povero (almeno su questo aveva ragione) operaio di Melfi al furbo albergatore greco? Ecco, ora lo sapete. Qualora non vi fidaste, i ragazzi di vocidallestero.it hanno tradotto un’efficace ricostruzione degli eventi: La gran parte dei prestiti di FMI, Unione Europea e BCE sono finite nelle mani di quelle banche che “non si sono comportate secondo la teoria nella gestione del rischio di credito”. E’ interessante inoltre notare che fine abbiano fatto parte dei 125 miliardi che l’Italia ha devoluto al Meccanismo Europeo di stabilità.
Il resto della storia, ciò che a grandi linee ci è stato raccontato, lo conosciamo tutti. Un popolo umiliato da numerose tranches di prestiti da parte della troika, contraddistinti da un costo sanguinolento costituito da memorandum d’intesa basati su privatizzazioni selvagge, dissoluzione del welfare, tagli dei costi del lavoro (se non puoi svalutare la moneta per rafforzare le esportazioni sarai costretto a fare questo, ritrovandoti poi nella spirale stagdeflattiva in cui è precipitata anche l’Italia) e altre cure da cavallo che hanno portato la Grecia nel baratro.
Oggi, come accennato nell’incipit, è calato il buio sulla povera gente greca: le banche francesi (soprattutto dato che avevano un credito pari a quasi il 20% del pil greco) e tedesche hanno risolto le proprie sofferenze bancarie e questo ha fatto sì che la pressione mediatica (ricca, come abbiamo visto, di bugie) su Atene scemasse. Nonostante questo la penisola ellenica è stata mantenuta nell’euro, ma con uno scopo ben preciso: evitare che altri stati da spolpare (tra cui il nostro) assistessero al dato scientifico che dopo l’euro può esserci vita.
La Grecia del quarto trimestre del 2016 ha mostrato tutte le sue debolezze: record europeo sia di disoccupazione che di disoccupazione giovanile; PIL precipitato dell’1,2%; stime di crescita costantemente smentite e riviste al ribasso e tensioni sociali che non trovano tregua. Già perchè gli scontri ad Atene non si arrestano con la firma del memorandum tra Tsipras e troika nella famosa estate del 2015: semplicemente non hanno mai cessato di esistere (nella realtà).
torna alla homepage di lineadiretta24