Lingotto PD: la svolta operaia di Renzi
Lingotto PD
Si chiude la kermesse del PD al Lingotto di Torino, Matteo Renzi conclude la convention scagliandosi contro gli scissionisti. Più di cinquemila persone presenti, molti in piedi, ma la novità è la svolta a sinistra del segretario che all’indomani delle primarie cerca di accaparrare i voti della base.
Cos’è il Lingotto? Per chi non lo sapesse il centro congressi torinese ha una lunga storia alle spalle: simbolo della classe operaia torinese, è stato fondato nel 1923 ad opera di Gianni Agnelli che la volle come sede del primo stabilimento Fiat, di cui fu sede fino al 1982. Un pezzo d’Italia che non c’è più, oggi al Lingotto si ospitano fiere, convention, eventi culturali a seguito della riqualificazione fatta da Renzo Piano. Qui, in questa bolla vetrata, il Partito Democratico ha lanciato la sua campagna congressuale chiusasi ieri con il discorso dell’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Scenario casuale? Non si direbbe proprio ascoltando le parole del segretario, tutte volte e rivolte a sinistra, a quei valori antichi a cui molti hanno smesso di credere dopo il Jobs Act, il Salva Italia, l’occhiolino al ponte sullo stretto. Storytelling? Forse, o forse la scossa comincia a farsi sentire. Matteo Renzi rivendica l’importanza del confronto, l’attenzione agli ultimi: «Questa è la sinistra, non chi canta bandiera rossa col pugno chiuso», aggiungendo che «nelle scorse settimane qualcuno ha cercato di distruggere il Pd perché c’è stato un momento di debolezza innanzitutto mia. Ma non si sono accorti che c’è una solidità e una forza che esprime la comunità del Pd, indipendentemente dalla leadership: si mettano il cuore in pace, c’era prima e ci sarà dopo di noi e ora cammina con noi». Si rivolge ai suoi competitors, Michele Emiliano e Andrea Orlando, affinché «non facciano polemiche con nessuno e in particolare con i nostri compagni di squadra», d’altra parte non si lascia sfuggire l’assist dello scenario parlando della Fiat delle tute blu, senza maglioni di cashmere: «Bisogna crearlo il lavoro non farci i convegni», condannando burocrazia ed evasione fiscale.
Molti altri i temi toccati, dalla leadership alle giovani leve: «Non vogliamo un partito di correnti e caminetti, c’è bisogno di più leader non di meno leader. Quello senza leadership è un modello sbagliato. Abbiamo bisogno di idee, specialmente dei quarantenni. C’è una generazione nuova, quella dei millennials, piena di valori che non siamo riusciti a prendere. Mettiamoli alla prova. Ascoltiamoli. Ci rottameranno? Pazienza!». E infine gli anziani, bacino elettorale storico nel PD: «Sono il nostro riferimento più forte a livello elettorale e abbiamo bisogno di loro. Re-innamorarsi della politica anche quando si ha una certa età è una cosa bella». Così, l’ex premier si porta verso la chiusura abbandonandosi ad un valzer retorico: «Non c’è il noi senza l’io», afferma. Ma dove sono i riferimenti alle vicende scabrose degli ultimi giorni? Lotti, babbo Renzi, dove sono finiti? Il colpo di scena è tutto qui, Renzi esprime solidarietà alla sindaca Raggi e sferza una lezione di garantismo ai Cinque Stelle: «Noi siamo dalla parte della giustizia che qualcuno, anche nel nostro campo, ha confuso col giustizialismo». E ancora: «Non si può essere garantisti a giorni alterni».
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