Dirk Nowitzki: la storia del primo giocatore europeo a entrare nell’olimpo dell’NBA

DIRK NOWITZKI – Ci sono giocatori che nascono per entrare nella storia. La cosa interessante, statisticamente parlando, è che questi giocatori destinati alla gloria eterna, tendono a nascere in luoghi vicini. Tanto per citarne alcuni per così dire “famosi”, un paio sono nati a New York e parliamo di un certo MJ, al secolo Michael Jeffrey Jordan e di un certo Kareem Abdul-Jabbar. Un altro paio niente male vengono da Philadelphia, ovvero Wilt “mister 100 punti” Chamberlain e Kobe “black mamba” Bryant. In Ohio, nella stessa città di Akron e addirittura nello stesso ospedale, a distanza di pochi anni, sono nati LeBron James e Steph Curry, praticamente tutto il meglio della NBA attuale. Vari luoghi d’America dove si concentrano geni e talento, bagnati da chissà quale influsso stellare, pronti ad andare e conquistare la gloria eterna. Ma nessuno, nemmeno un mago, o un veggente, avrebbe mai potuto immaginare che uno degli unici sei giocatori nella storia del basket a segnare più di 30.000 punti, sarebbe nato a Würzburg, in Germania, e che no, non sarebbe stato americano, né di colore e tantomeno con un fisico possente, ma un lungagnone tedesco alto più di 2.10, con braccia lunghe e magroline.

C’è elettricità nell’aria oggi. Non è la solita partita e lo sai. Ne hai giocate quasi 1400, più di 1500 se conti anche i playoffs, ma oggi è tutt’altra storia. Cos’è quello che senti? Emozione? Paura? Non lo sai nemmeno tu. Il riscaldamento vola via come sempre, con quegli esercizi ripetuti mille e mille volte. Il fisico magari non è più quello che avevi a 18 anni, lo sai anche tu, ma negli anni hai imparato a dosarti, a controllarti. Scegli meglio i tiri, ti riposi più minuti.

Nowitzki Nash Finley
Nowitzki Nash e Finley

DALLA GERMANIA AL TEXAS, PASSANDO PER MILWAUKEE – 1998. Alla radio passano I don’t want to miss a thing, colonna sonora firmata Aerosmith del blockbuster catastrofico “Armageddon”. Al cinema scopriamo che Jim Carrey non è solo un attore da commedia che fa le facce buffe, ma un signor attore capace di portare sullo schermo una storia incredibile, quella di “The Truman Show” probabilmente il film dell’anno insieme a “Salvate il soldato Ryan”. Durante il draft NBA, quello in cui verranno scelti, tra gli altri, gente del calibro di Vince Carter, (Vincredible per gli amici) e Paul Pierce, i Milwaukee Bucks decidono di cedere ai Dallas Mavericks la loro nona scelta, il tedesco Dirk Nowitzki, lungo semi-sconosciuto proveniente dalla serie B tedesca, con Robert Traylor (scelta 6) e Pat Garrity (scelta 19), in quella che passerà alla storia come una delle trade più sbilanciate e meno azzeccate della storia recente della pallacentro. A Dallas, ad aspettare il tedescone biondo c’è un canadese capellone, un certo Steve Nash. Steve Nash, che sarà due volte MVP di lì a qualche anno, tratta la palla come fosse l’unica cosa a cui tiene nella vita. La accarezza, la coccola, la fa arrivare sempre puntuale nelle mani dei suoi compagni, e ben presto, durante gli allenamenti, si rende conto che il tedeschino, un 213 cm con un fisico da impiegato catastale, tratta la palla con la stessa delicatezza, preferendo però metterla al riposo nel canestro, invece che donare gioia ai compagni come fa il canadese dal capello lungo. Sembra proprio che i due si siano trovati. I Milwaukee Bucks hanno appena regalato a Dallas una delle coppie offensivamente più forti che il basket abbia mai visto.

 

Quest’anno non c’è titolo da rincorrere, e forse nemmeno i playoffs da agguantare. Non è una cosa che avviene spesso da quando ci sei tu. Tolte le prime due stagioni da quando sei arrivato, quelle di assestamento con Steve e Michael, la post season è stata sempre piena di impegni. Per quindici volte su sedici ci hai trascinati ai playoffs. Cos’è successo in quel 2013? Come abbiamo fatto a non qualificarci? Non lo saprei dire. Ma ora basta, togli la tuta ed entra in campo, questa è la tua partita. Oggi è il tuo giorno.

 

Nowitzki record
Dirk Nowitzki

L’ATTACCO VENDE I BIGLIETTI – La difesa vince i campionati. Questo detto è molto popolare nell’NBA, e racchiude l’idea secondo la quale un’ottima squadra difensiva avrà sempre più possibilità di una squadra offensiva. Gli anni da rookie sono passati, Nowitzki e Nash formano già una delle coppie più forti di sempre a Dallas. Fioccano le vittorie, l’attacco dei Texani è una bellezza, una muscle car made in USA che ruggisce perfetta su un’autostrada sgombra. La difesa, beh, la difesa è un altro paio di maniche. Nash e Nowitzki non sono e non saranno mai due grandi difensori, e lì qualcosa si paga, ma con un attacco così, chi vuoi che ci fermi? Invece la bestia nera c’è, c’è eccome. Per la precisione una bestia nero e argentata, che della difesa e del sistema hanno fatto un mantra, e su quel mantra hanno costruito una dinastia vincente ogni oltre aspettativa. Come se non bastasse questa continua sfida è anche un derby, un derby texano. I rivali sono infatti gli impressionanti San Antonio Spurs di coach Popovich. I sogni di Nowitzki e compagni si infrangono anno dopo anno sempre contro lo stesso muro. Alla fine del 2004 la coppia si separa. Nash non riesce a trovare la giusta intesa con Mark Cuban e viene spedito a Phoenix dove sarà due volte MVP e fermerà proprio la corsa alle finali dell’amico Nowitzki. Bisogna ricostruire tutto da zero.

Palla a due, sei carico come non mai. Il primo attacco è subito per te. Passaggio sul gomito alto, il difensore è in ritardo, praticamente un rigore a porta vuota per te. Gambe a posto, rilascio immediato. I primi due punti sono in cassaforte. Ne mancano solo altri 18. Solo 18 per arrivare dove solo altri cinque giocatori sono arrivati prima di te. Non pensi ad altro, solamente a quei 18 punti che ti separano dalla leggenda.   

IL SIGNORE DELL’ANELLO E LA MALEDIZIONE DEI MAVS – La leggenda racconta che esiste un unico anello, in grado di dominarli e nel buio incatenarli, e sì, quella leggenda parla di due piccoli Hobbit e del destino della terra di mezzo. L’anello di cui parliamo noi, invece, si riferisce al titolo NBA, ovvero l’unico vero obiettivo di tutti i giocatori di basket al mondo. 13 giugno 2006. Miami, Florida. Sole, palme, spiagge leggendarie. Finali NBA. I Mavs sono sopra 2-0 nella serie e a sei minuti dalla fine della partita sono a +13 sugli Heat di Wade e Shaq. Nessuno è mai tornato a galla da un 3-0 nella storia dell’NBA. Il sogno di portare a casa il famigerato anello è molto più che realtà. Da quel momento però il sogno diventa un incubo. Diventa l’incubo. Wade ne mette 42, gli Heat vincono 98 a 96 a pochissimi secondi dalla fine della partita. Non perderanno più, infliggendo ben quattro sconfitte consecutive ai Mavs. Addio anello, addio sogno. L’anno seguente l’incubo assume contorni anche più incredibili. Durante la stagione regolare Nowitzki è una furia. 25 punti di media a partita, con 9 rimbalzi e il 50% dal campo, con il 41% da tre e il 90% ai liberi, miglior record di squadra a Ovest e primo giocatore europeo nella storia della NBA a vincere l’ambito premio di MVP. Nei playoffs poi succede l’imponderabile, i Warriors di Don Nelson, ex allenatore di Dallas con il dente avvelenato, riescono a sgambettare la testa di serie numero uno. Nowitzki diventa il primo MVP della storia a ritirare il premio in una conferenza stampa imbarazzatissima dopo una clamorosa eliminazione al primo turno. La maledizione dei Mavs colpisce ancora.

 

Anche il secondo attacco è per te. Oggi tutti, nel palazzetto, sono qui per te. Compagni, avversari, pubblico. Aspettano soltanto le tue giocate, i tuoi punti. Anche questo canestro è un classico del tuo repertorio, blocco sul play, che fa finta di attaccare il canestro, ma ti serve immediatamente la palla fuori. Tu sei già pronto, dopo il blocco ti sei già aperto in posizione di tiro, fuori dalla linea dei tre punti. La palla ti arriva con i giri giusti e c’è solo la retina ad attenderla. Oggi anche la palla è qui per te. Oggi gli dei del basket sono scesi ad applaudirti con tutti gli altri.

Nowitzki fade away
Il fade away di Nowitzki

IL FADE AWAY LEGGENDARIO – Ogni giocatore ha un marchio di fabbrica. Un movimento o una capacità che lo rende unico e speciale rispetto a tutti gli altri. Kareem aveva il gancio cielo. Shaq ha portato lo Shaq attaq. Jordan la famosa schiacciata con le gambe larghe e la lingua di fuori. Nowitzki verrò ricordato per il suo fade away. Il fade away è, letteralmente, un tiro cadendo lontano. Ci si stacca dal difensore e si tira buttandosi con il corpo lontano dal canestro per evitare la stoppata. Un movimento difficile il fade away. Ecco, quello di Nowitzki è il suo marchio di fabbrica. Dirk parte spalle a canestro, con il corpo si appoggia sul difensore, ne percepisce la posizione, poi dopo una finta o due di giro dorsale, si butta indietro con il corpo, proteggendosi con il ginocchio alto e lascia andare la palla da un altezza di quasi 3 metri. Non esiste giocatore al mondo in grado di marcare quel movimento. Quello è il SUO tiro.

 

 

Non c’è due senza tre. Anche il terzo attacco passa per le tue mani. Sei ancora davanti al canestro, fuori dalla linea da tre punti. Magari un altro giorno l’avresti passata questa palla, ma oggi no, non è un altro giorno, oggi è il giorno. Una frazione di secondo e ancora canestro. 8 punti in fila, i primi 8 della squadra. Sei caldo, caldissimo, oggi il canestro è grande come una vasca da bagno, e, semplicemente, tu non puoi sbagliare mai. I canestri continuano a piovere, dalla media, dopo una finta che fa impazzire il pubblico. Canestro e fallo. Poi tocca al tuo fade away, il tuo timbro. Quello oggi non può mancare, vero Dirk?

Nowitzki Kidd campioni NBA
Dallas campione NBA

GIASONE E IL VELLO D’ORO – Passano gli anni e nonostante i Mavs siano sempre una delle squadre più forti della lega, fioccano le delusioni. Ai playoffs non si riesce a passare il secondo turno e nel roster manca sempre qualcosa. Nel 2008, per sopperire alla carenza di regia, Cuban decide di puntare sul ritorno di Jason Kidd, play dalla straordinarie doti di passatore che ai Nets ha scritto pagine di grande basket. Si arriva così alla famigerata stagione del riscatto. 2011. Davanti, in quello che sembra un amaro scherzo del destino, ci sono ancora una volta i Miami Heat. Stavolta però non c’è più Shaq, ma insieme a Wade ci sono LeBron e Bosh, i Big Three. Portland, Lakers e Thunder non sono riusciti a fermare la corsa dei texani, che ora hanno lo scoglio più grande da superare, la storia. Se esiste una gara in grado di raccontare la carriera di un giocatore, questa è senza dubbio gara quattro dei playoffs contro Miami. Nowitzki ha 39 di febbre. Non si regge in piedi. Sbaglia 10 tiri da tre su 11, e addirittura un tiro libero, mentre i tifosi degli Heat lo prendono in giro per la canzoncina che canta durante il suo rilascio per darsi il ritmo. Sembra che nulla possa salvare Dallas da un sicuro 1-3 e da un’altra sconfitta in finale contro gli stessi avversari. Invece qualcosa scatta. Nowitzki decide che è il momento di entrare nel libro delle imprese eroiche della NBA, e nell’ultimo quarto piazza 10 punti. Non si tiene in piedi ma lotta, va in post, sfodera il suo leggendario Fade away. I Mavs rimontano e vincono 86 – 83. Questa volta l’inerzia è tutta dalla parte dei texani. Barea sembra Speedy Gonzales e semina il panico nelle fila avversarie, Kidd dispensa assist e gioco, Terry punisce ogni raddoppio su Nowitzki. Shawn Marion mette la museruola a LeBron. Dallas è una macchina da guerra. Nelle due partite restanti non c’è storia, i texani si impongono per 4-2. La maledizione è spezzata, Nowitzki vince il premio di MVP delle finali e diventa finalmente campione NBA.

 

Il cronometro dice che è passato appena un minuto dall’inizio del secondo quarto. Contro ci sono le maglie giallo-viola di quelli là, quelli che, nonostante non siano più la superpotenza di sempre, come del resto non lo siamo più neppure noi, tante volte ci siamo trovati contro per arrivare a quel maledetto titolo. La palla arriva in post basso. Sei carico come poche altre volte nelle ultime 19 stagioni. Certo, 38 anni non sono pochi, i movimenti sono più lenti, il fisico si stanca prima. Il tabellino dice che oggi sei inarrestabile. Ne hai messi già 18, in un quarto, a 38 anni. La palla viaggia. Isolamento spalle a canestro. Classico. Ti proteggi con il braccio mentre butti un’occhiata al povero Larry Nance Jr. che la storia ha voluto lì, solo e disperato, a essere la vittima sacrificale e la comparsa della cartolina di un altro. Un quarto di giro, non serve nemmeno la finta, lo sguardo è basso, osservi la posizione imperfetta del povero Larry. Raccogli la palla e ti alzi, come hai fatto migliaia e migliaia di volte in tutta l’immensa altezza dei tuoi 213 cm. Ad un programma scientifico una volta hanno detto che arrivi a tirare praticamente pari al canestro, a 300 cm da terra, con quelle braccia lì. La palla si stacca e disegna un perfetto arco in cielo. Il ferro è già pronto ad accoglierla. La storia è pronta ad abbracciarti. 11:58, la retina fa swish, Dirk Nowitzki entra nell’esclusivo club dei giocatori con più di 30.000 punti in carriera.

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