Rapporto Amnesty International: noi contro loro
Pubblicato pochi giorni fa, il Rapporto Amnesty International 2016-2017 conferma le catastrofiche impressioni e previsioni sulla situazione dei diritti umani nel mondo, e una volta di più ci ricorda che il mondo non sta andando avanti ma torna pericolosamente indietro.
O avanti. Dipende dal metro di giudizio. Se condividiamo il punto di vista di Amnesty International, e non possiamo che condividerlo, il rapporto Amnesty International 2016-2017 registra un arretramento epocale riguardo lo stato di salute dei diritti umani nei Paesi di tutto il mondo, piombati in molti casi in un clima d’odio e intolleranza drammaticamente vicino agli anni trenta del Novecento (anni in cui c’erano Hitler e Mussolini mica Salvini e Le Pen – con rispetto parlando).
Il rapporto Amnesty International prende in esame ben 159 paesi nel mondo, tutti, chi più chi meno, affogati dalla risacca razzista, xenofoba e discriminatoria che a macchia d’olio si sta diffondendo in tutto il mondo segnando una violazione dei diritti umani praticamente a livello globale. Le parole d’ordine di questa ondata di tenebre sono quelle che in varie e tristi occasioni ci hanno accompagnato nel corso dell’anno: rifugiati, respingimenti, guerre, torture, sparizioni forzate, autoritarismi, muri.
A dilagare, secondo il rapporto Amnesty International, è la retorica del noi contro loro, ormai caposaldo del linguaggio politico europeo e americano e che favorisce non solo l’arretramento nei confronti dei diritti umani, ma anche l’indebolimento della reazione contro la loro violazione. La reazione accanita contro il diverso – per razza, religione, colore, orientamento sessuale o politico – è diventata una cancrena che non infesta più solo il dibattito politico da programmi televisivi di quart’ordine, bensì una degradazione morale che agisce sia sul piano interno (la violazione pura e semplice nelle sue diverse manifestazioni) sia su quello esterno (l’indifferenza verso le atrocità che vengono compiute lontano da noi).
Allora lo scollinamento non è solo un fattore estemporaneo, una parentesi nel corso del cammino lungo il corso della storia dovuta ad eventi imprevisti, ma rivela cause profonde e potenzialità davvero catastrofiche e permanenti. La china intrapresa è quella di un arretramento e una involuzione antropologica e sociale che, beninteso, non parte dal migliore dei mondi possibili, ma da un contesto già ricco di problemi. Con una metafora, nel nostro cammino per diventare un fiore, nonostante fossimo arrivati al livello dei primi germogli d’erba, siamo tornati a quello della merda.
Gli esempi più eclatanti* di questa degradazione riportati dal rapporto Amnesty International sono noti: per “l’esterno” la pressoché totale indifferenza nei confronti della rasa al suolo della Siria e delle atrocità accadute nelle Filippine e in Sudan; per l’interno i muri in Europa, gli accordi disumani di respingimento all’interno di stati sicuri solo nel mondo dei sogni come quelli siglati con la Turchia e ora con la Libia, le misure di sicurezza liberticide innescate da Francia e Regno Unito, Donal Trump e i populismi euroscettici.
Viene da chiedersi allora se non sia un avanzamento piuttosto che un arretramento, e se non colgano più nel segno certi filoni letterari e cinematografici che nel corso di questi anni hanno mostrato – con accenti critici molto interessanti – l’altra faccia del futuro che ci aspetta: quella di un mondo sempre più disumanizzato verso il quale, impossibile negarlo, procediamo a passi da gigante. Forse il nostro traguardo non è quello di essere persone migliori e questa recrudescenza non è un’involuzione della nostra natura: forse è la nostra natura.
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*Queste in sintesi alcune delle violazioni riportate da Amnesty:
Arabia Saudita: voci critiche, difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle minoranze sono stati imprigionati e condannati per vaghe accuse come quella di “offesa alle istituzioni dello stato“. In Yemen, le forze della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui possibili crimini di guerra, bombardando scuole, mercati e moschee, uccidendo e ferendo migliaia di civili anche grazie ad armi fornite da Usa e Regno Unito e persino vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo;
Bangladesh: invece di fornire protezione agli attivisti, ai giornalisti e ai blogger e indagare sui responsabili della loro uccisione, le autorità hanno intentato processi contro i giornalisti e gli oppositori anche a causa di un semplice post su Facebook;
Cina: è proseguita la repressione contro avvocati e attivisti, anche attraverso la detenzione senza contatti col mondo esterno, le confessioni trasmesse in televisione e le intimidazioni ai familiari;
Egitto: per indebolire, diffamare e ridurre al silenzio la società civile, le autorità hanno fatto ricorso a divieti di viaggio, restrizioni finanziarie e congelamento di conti bancari;
Etiopia: un governo sempre più intollerante nei confronti dei dissidenti ha usato le leggi anti-terrorismo e lo stato d’emergenza per reprimere giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e soprattutto manifestanti, contro i quali è stato fatto ricorso alla forza eccessiva e letale;
Filippine: un’ondata di esecuzioni extragiudiziali ha fatto seguito alla promessa del presidente Duterte di uccidere decine di migliaia di persone sospettate di essere coinvolte nel traffico di droga;
Francia: le drastiche misure di sicurezza adottate nel contesto del prolungato stato d’emergenza hanno dato luogo a migliaia di perquisizioni, a divieti di viaggio e ad arresti;
Honduras: oltre a Berta Cáceres, sono stati uccisi altri sette attivisti per i diritti umani;
India: le autorità hanno usato leggi repressive per limitare la libertà d’espressione e ridurre al silenzio le voci critiche. Difensori e organizzazioni per i diritti umani hanno continuato a subire minacce e intimidazioni. Leggi oppressive sono state usate per ridurre al silenzio studenti, docenti, giornalisti e difensori dei diritti umani;
Iran: la repressione della libertà d’espressione, di associazione, di manifestazione pacifica e di fede religiosa è stata massiccia. Giornalisti, avvocati, blogger, studenti, attiviste per i diritti delle donne, registi e musicisti che avevano espresso critiche in modo pacifico sono stati condannati al termine di processi gravemente irregolari celebrati dai tribunali rivoluzionari;
Myanmar: decine di migliaia di rohingya, la minoranza tuttora priva di cittadinanza, sono stati sfollati nel corso di “operazioni di sgombero” nel contesto delle quali sono stati denunciati omicidi illegali, stupri e arresti arbitrati. La stampa controllata dal governo ha pubblicato articoli dal linguaggio gravemente disumanizzante;
Regno Unito: un’ondata di crimini d’odio ha fatto seguito al referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Una nuova legge sulla sorveglianza ha garantito assai più ampi poteri all’intelligence e ad altre agenzie per la sicurezza per violare la privacy su scala massiccia;
Repubblica Democratica del Congo: attivisti per la democrazia sono stati arrestati arbitrariamente e, in alcuni casi, sottoposti a lunghi periodi di detenzione senza contatti col mondo esterno;
Russia: a livello nazionale, il governo ha stretto la morsa intorno alle organizzazioni non governative, ricorrendo sempre di più alla propaganda dei “soggetti indesiderabili” e degli “agenti stranieri”. Si è svolto il primo processo nei confronti di un’organizzazione non governativa sulla base della legge sugli “agenti stranieri” e decine di altre organizzazioni non governative che ricevono fondi dall’estero sono state aggiunte all’elenco. In Siria, il governo ha mostrato un completo disprezzo per il diritto internazionale umanitario;
Siria: è proseguita l’impunità per i crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui gli attacchi indiscriminati e quelli diretti contro i civili, nonché gli estenuanti assedi delle popolazioni civili. La comunità nazionale dei difensori dei diritti umani è stata quasi del tutto azzerata: attivisti sono stati imprigionati, torturati, fatti sparire o costretti a fuggire all’estero;
Stati Uniti d’America: la campagna elettorale marcata da una retorica discriminatoria, misogina e xenofoba ha fatto sorgere forti dubbi sul peso effettivo dei futuri impegni nel campo dei diritti umani, a livello nazionale e internazionale;
Sudan: vi sono ampie prove che il governo abbia usato armi chimiche in Darfur. In altre regioni del paese, presunti oppositori sono stati arrestati e imprigionati. L’uso eccessivo della forza nella dispersione delle proteste ha provocato numerose vittime;
Sud Sudan: sono proseguiti i combattimenti, segnati da violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, che hanno avuto conseguenze devastanti sulla popolazione civile;
Thailandia: i poteri di emergenza, la legge sulla diffamazione e quella sulla sedizione sono stati usati per limitare la libertà d’espressione;
Turchia: dopo il fallito colpo di stato, decine di migliaia di persone sono state arrestate, centinaia di organizzazioni non governative sono state sospese, i mezzi d’informazione hanno subito un drastico giro di vite e sono proseguite pesanti operazioni militari nelle aree curde;
Ungheria: la retorica governativa ha imposto un modello divisivo di politiche identitarie e un’oscura visione della “Fortezza Europa”, che si sono tradotti in sistematiche misure repressive contro i diritti dei migranti e dei rifugiati;
Venezuela: sono stati ridotti al silenzio quei difensori dei diritti umani che hanno denunciato la crisi umanitaria causata dall’incapacità del governo di garantire i diritti economici e sociali della popolazione.