NBA: dopo lo sfogo di LeBron la stagione dei Cavs è già ad un bivio
LO SFOGO DI LEBRON – Ci risiamo. Dodici mesi dopo, con il primo titolo NBA della loro storia in bacheca, i Cavs sono nuovamente al punto di svolta della stagione. Lo scorso anno, esattamente il 22 gennaio, per venire incontro alle richieste, nemmeno troppo nascoste, di buona parte del roster e del Re in persona, i Cavs procedevano al licenziamento di coach Blatt. Reo di voler introdurre a Cleveland un sistema di gioco di tipo “europeo”, fatto di circolazione palla, attitudine difensiva, pochi isolamenti e, cosa assai peggiore, evidentemente non disposto a essere un mero figurante in panchina agli ordini del vero Re di Cleveland, Blatt veniva sostituito con una figura diametralmente opposta, ovvero Tyronn Lue. Quel preciso momento segnò uno spartiacque nella stagione dei Cavs. Addio coach europeo, addio ambizioni di diventare i nuovi “Spurs” e, contro ogni pronostico, arrivò la fantastica rimonta in finale ai danni dei Warriors con conseguente vittoria del primo storico anello. LeBron 1 – resto del mondo 0 e palla al centro.
UN ANNO DOPO – Quell’episodio, oltre a fruttare un titolo, ha definitivamente consacrato la totale onnipotenza di James, dentro e fuori dal campo. Mai nessuno, prima di lui, aveva avuto così tanto potere in una franchigia. A Cleveland lui è veramente il “Re” e ha potere di “vita e morte” sui compagni, sul General Manager e probabilmente anche sulla presidenza. Nemmeno a Miami James era stato così potente. In Florida c’era infatti un certo Pat Riley, uomo di esperienza e carisma assoluto, in grado di tenere a freno tre personalità come quelle di Wade, Bosh e LeBron, conducendoli a ripetuti successi.
A Cleveland, se vogliamo, LeBron è solo, non ha nessuno sopra di lui e ha capito che se vuole continuare a vincere deve caricarsi sulle spalle ogni aspetto della sua squadra. A 32 anni gioca più minuti di tutti, quasi 38 a partita, come non faceva da 7 anni a questa parte. È la sua seconda miglior stagione di sempre per assist serviti a partita (8,5) con quasi 8 rimbalzi a partita di contorno. Numeri mostruosi di un giocatore mostruoso. Questo però non basta ancora e oltre all’impegno in campo si vede costretto, per la seconda volta in due anni, a spronare la dirigenza per metterlo in condizione di replicare il titolo dello scorso anno e per farlo ha scelto il modo più duro e plateale possibile.
LE DICHIARAZIONI – Il pesantissimo ko contro i Warriors ha dimostrato come, nonostante il titolo, il divario tra le due squadre sia ancora importante. Le tossine di quello scontro si sono fatte sentire e contro i non certo irresistibili Pelicans è arrivata la quinta sconfitta in sette gare, quanto basta al Re per rendersi conto che, se non si cambia ora, la stagione potrebbe non essere più recuperabile. Davanti a numerosi giornalisti è arrivato lo sfogo di LeBron: “Non siamo più forti dell’anno scorso, almeno da un punto di vista del roster. Siamo una squadra sbilanciata. Siamo fottutamente sbilanciati. Siamo io, Kyrie e Kevin e in regular season è dura. Certo, nei playoff si scende a una rotazione di otto uomini, massimo nove se ci sono problemi di falli e non ci sono back-to-back e abbiamo anche due giorni di pausa, ma quando non hai cambi a disposizione la regular season è un cazzo di massacro. Spero solamente che a livello di organizzazione non ci riteniamo soddisfatti. Sappiamo quanto cazzo è stata dura vincere l’anno scorso e perciò spero che la dirigenza non si sia seduta“.
Dopo lo sfogo e l’impietosa fotografia del momento attuale dei Cavs, arriva anche il “suggerimento” su cosa fare per modificare le cose: “A fine anno avrò 33 anni e non ho tempo da perdere. Quando sentirò dentro di me di non avere più le forze o la testa per competere per il titolo non mi farò di questi problemi, ma fino a quando questo non succederà e direi che non succederà presto, dovrò farmeli. Non ho problemi con la dirigenza e ho detto faccia a faccia a Griffin (il General Manager) quello che sto dicendo ora, perciò non è niente di nuovo. Se c’è una cosa che faccio è che se devo dire qualcosa, la dico in faccia. Abbiamo bisogno di un cazzo di playmaker. E non sto dicendo di andare fuori e pescarlo dalla strada come si può andare fuori e vedere un albero. So che è difficile, ma ne abbiamo bisogno”. Continuando poi su quello che può andare storto: “La maggior parte delle squadre che contendono per il titolo, come San Antonio, ha giocatori pronti a entrare in campo se necessario. Hanno cambi a disposizione. Voi vi preoccupate per cinque minuti in più a partita ma, toccando ferro, cosa succederebbe se Kyrie si facesse male? Anche solo per due settimane. O cosa succederebbe se io rimanessi fermo per tre? Dobbiamo trovare una soluzione. È stato un 2017 di merda finora“.
Uno sfogo netto, chiarissimo e tremendamente centrato. I Cavs, dopo l’addio di Della Vedova e il ritiro di Mo Williams hanno un problema di cambi in regia e, nonostante le fatiche dell’est non siano minimamente paragonabili a quelle dell’ovest, se non si trova un cambio al più presto la stagione rischia di essere un completo fallimento, cosa che un Re non può accettare passivamente.
LE REAZIONI – Non si sono fatte attendere le reazioni allo sfogo di LeBron, dentro e fuori dall’ambiente Cavs. Se Nate Robinson (esplosivo ex play di 175 cm, famoso per aver vinto una gara delle schiacciate qualche anno fa) si è divertito a provocare James su instagram, offrendogli il suo numero di telefono per un eventuale provino, decisamente più piccata la risposta di Tristan Thompson, affamato rimbalzista e compagno di squadra del Re a Cleveland, che ha tuonato senza mezze misure: “Questa è la squadra che abbiamo al momento. Questo è l’approccio che devi avere alla partita. Non puoi scendere in campo sperando che qualcuno entri dalla porta. Giochiamo con chiunque diavolo abbiamo al momento e vinciamo qualche fottuta partita. Il commento di LeBron è quel che è. Non me ne frega un cazzo. Devo solo giocare meglio. Dobbiamo giocare più duro. Ha ragione. Dobbiamo giocare tutti meglio. È semplice”. Dichiarazioni al vetriolo che potrebbero compromettere un equilibrio di squadra già precario.
LA POLEMICA CON BARKLEY – A rendere ancor più incandescente il clima in Ohio ci si è messo anche l’ex all-star Charles Barkley, ora commentatore per TNT, che non ci è andato leggero con il prescelto, dichiarando: “I Cavs gli hanno dato tutto quello che voleva: hanno il monte salari più alto della storia della NBA, voleva J.R. Smith e lo hanno pagato, voleva Iman Shumpert un anno fa e glielo hanno dato, gli hanno dato anche Kyle Korver. È il miglior giocatore del mondo. Vuole tutti i giocatori forti possibili? Non vuole competere? Sono loro i campioni in carica”. Arrivando a definire “inopportuno e piagnucolante” lo sfogo di LeBron. Non si è fatta attendere la replica dello stesso James che questa volta non le ha mandate a dire: “È soltanto un hater, cos’è che lo rende credibile, il fatto che sia in TV? Non gli permetto di mancare di rispetto a quello che ho fatto in carriera. Non sono io quello che ha lanciato un uomo in una vetrata. Non ho mai sputato a un ragazzino e non ho mai avuto un debito non pagato a Las Vegas. Io non ho mai detto di non essere un modello di comportamento (come fece Barkley in uno spot del 1993 ndr). Non mi sono mai presentato di domenica a un All-Star Weekend perché ero a Las Vegas a fare serata. Per tutta la mia carriera non ho fatto altro che rappresentare la NBA nel modo giusto, 14 anni e mai un problema. Ho sempre rispettato il gioco. Potete metterlo per iscritto”. Uno scambio di cortesie che, con tutta probabilità, non terminerà qui, gettando altra benzina sul fuoco dei Cavs.
Intanto, nonostante l’ambiente caldissimo e le continue distrazioni, i Cavaliers in campo si sono imposti 107-91 sui Thunder. Non è servita la 24esima tripla doppia in stagione di Westbrook (20p+12r+10a con 7/26 al tiro per lui). James ne ha messi 26 con 14 rimbalzi, aiutato dai 29 con 10 assist di Irving. Magari dal mercato non arriverà nulla, ma lo sfogo di LeBron sembra già aver dato qualche frutto in termini di intensità.
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