DCIS: la diagnosi del cancro al seno può significare “una vita più lunga”

DCIS, il cd tumore allo “stadio 0” non interferisce sulle aspettative di vita. I pazienti trattati per carcinoma duttale “in situ” hanno il 10 per cento in meno di probabilità di morire nel decennio successivo la diagnosi rispetto alle donne sane. Il DCIS è una forma iniziale di tumore al seno (detto anche precancerosi): le cellule tumorali si sviluppano all’interno dei dotti galattofori (i canali dove passa il latte nella mammella)  ma rimangono “in situ” cioè non si estendono al di fuori del dotto nel tessuto circostante o in altre parti del corpo.

Secondo uno studio presentato all’ ECCO 2017, il Congresso di Oncologia multidisciplinare in corso ad Amsterdam, attese le probabilità di morire di cancro al seno, l’aspettativa di vita risulta comunque maggiore in relazione ad un minor rischio di morte per altre condizioni come le malattie cardiache, altri tipi di cancro e il diabete.  I ricercatori olandesi hanno studiato la morbidità e mortalità cardiovascolare in un’ampia coorte di pazienti con DCIS. Ogni anno, a 8.000 donne nel Regno Unito viene diagnosticato il “carcinoma duttale in situ” (DCIS) – un precursore del cancro al seno – i trattamenti da seguire sono la radioterapia e forfettaria o completa rimozione del seno. In alcuni casi, questi trattamenti sono considerati anche troppo invasivi, perché la malattia è colta in uno stadio così precoce che secondo una recente statistica, molte donne sarebbero sopravvissute senza doversi sottoporre ad alcun trattamento terapeutico.

“La diagnosi di carcinoma duttale in situ può essere estremamente dolorosa, e la ricerca indica che molte donne sovrastimano i rischi e sono confuse circa il trattamento da seguire. Questo studio dovrebbe fornire la rassicurazione che una diagnosi di carcinoma duttale in situ non aumenta il rischio di morire. Può sembrare sorprendente che questo gruppo di donne in realtà abbia un tasso di mortalità inferiore rispetto alla popolazione generale”, sostiene la dott.ssa Lotte Elshof epidemiologo del Netherlands Cancer Institute.