Vincenzo Salemme in “Una festa esagerata” al Teatro Sistina

A metà tra Il Boss delle Cerimonie di Real Time e una commedia di De Filippo. No, non c’è la blasfemia, bensì Una festa esagerata, la nuova pièce scritta, diretta e interpretata secondo la migliore tradizione napoletana da Vincenzo Salemme e ospitata al Teatro Sistina di Roma fino al 5 febbraio.

una festa esagerataL’attore veste i panni del buon geometra partenopeo Gennaro Pescarandolo che, fiducioso nei consigli del dirimpettaio chiamato (non a caso) Eduardo, cerca di barcamenarsi tra i preparativi della (super)festa di compleanno della sua (quasi) diciottenne bambina, viziata tanto quanto la civettuola mamma. fino a quando, nell’appartamento al piano di sotto del fatidico balcone già addobbato, non morirà il (quasi) noventatreenne vicino di casa.

Così come un lutto non si addice al clima gaudente del party, allo stesso modo, alla piccola borghesia rappresentata con sagacia da Salemme, poco si addicono gli scrupoli del non portare avanti i festeggiamenti, soprattutto se gli inviti sono già stati spediti non solo a cari amici, ma anche a rampanti assessori locali, al prete e a quanti possano diventare strumento di un provinciale e sfrenato esibizionismo. E così, il fine comincerà a giustificare i mille sotterfugi ideati dalla famiglia Pescarandolo.

Gag e morale, allegria e satira sociale in salsa tutta napoletana la fanno da padrone. Ininterrotte le risate in platea di fronte al cast impeccabile: dalla teenager urlante con lo smartphone sempre in mano (Mirea Flavia Stellato), alla mamma starnazzante affamata di popolarità (Teresa Del Vecchio), al divertentissimo parroco che confonde l’ “ora et labora” col “dolce far niente” (Nicola Acunzo). Dice Salemme (tra tutti, comunque, impareggiabile in fatto di presenza scenica): “Una festa esagerata è una commedia abbastanza crudele verso noi stessi, verso i nostri cedimenti morali. Non credo di scoprire qualcosa di particolarmente nuovo. Temo che l’umanità ondeggi da sempre in un’altalena di miseria e nobiltà. Ma credo anche che il teatro, pur nelle sue corde più leggere, possa ricordare a chi lo fa e a chi lo guarda, che in fondo siamo di passaggio e che, forse, un po’ di sana autoironia ci può aiutare a vivere meglio”.

 

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