Matthias Sindelar, il calciatore austriaco che disse no a Hitler
23 gennaio 1939. Austria. Vienna. Nel distretto di Favoriten, Gustav Hartmann, come faceva spesso la mattina, si recò al “Café Annahof“. Un bar di un suo amico. Ma quella mattina era ancora chiuso e Gustav pensò che ci fosse qualcosa che non andava. Bussò. Nessuno rispose. Chiamò il suo amico. Niente. Dopo altri tentativi si decise e forzò la porta. All’interno, quello che vide non era propriamente quello che si aspettava: stesi a terra senza vita giacevano Matthias Sindelar, il suo amico proprietario del bar, e la fidanzata Camilla Castagnola.
L’autopsia, frettolosa e superficiale, parlò chiaro: avvelenamento da monossido di carbonio. Fatale un caminetto difettoso. Era questo l’ultimo responso ma i dubbi che la verità fosse un’altra erano molto più che fondati. Al funerale, nei giorni seguenti, si presenterono ben oltre 20000 viennesi a portare omaggio per il proprietario di quel bar. Ma perché? Perché un semplice proprietario di un bar aveva mosso una così ingente folla per il suo funerale? E perché si doveva dubitare fortemente dell’autopsia nei suoi riguardi? Semplice. Matthias Sindelar, prima di diventare il proprietario di quel bar, era stato il più grande calciatore austriaco del secolo, capitano del Wunderteam e soprattutto colui che disse apertamente no al nazismo imperante. Ah, altro dettaglio non trascurabile: aveva origini ebraiche, così come la sua fidanzata, anzi lei la era proprio. Insomma un concentrato di caratteristiche tali da finire nel registro della Gestapo come osservato speciale. Ma questa è solo la fine di una storia intensa, densa e romanzesca che merita di essere raccontata dall’inizio.
MATTHIAS SINDELAR ALIAS DER PAPIERENE
Era il 10 febbraio 1903 quando vide la luce a Kozlov, città della Moravia, odierna Repubblica Ceca ma all’epoca pieno Impero austro-ungarico, il nostro Matthias. Ma il soggiorno fu temporaneo per lui perché appena 3 anni dopo la famiglia si trasferì nella moderna e culturale Vienna in cerca, più che di fortuna, di lavoro per migliorare le proprie condizioni di vita. Eh sì, perché la famiglia era di quelle operaie, povere, di umili origini e cattolica … o almeno così sembrava perché voci dicevano ebrea. Per un ragazzo come Matthias, cioè della classe operaia, il calcio si presentava come una delle poche opportunità di riscatto sociale. E il ragazzo, in tenera età, cominciò a far intravedere quel talento cristallino che lo distinguerà negli anni d’oro. Elegante, snello, armonioso e imprendibile. Esile come una cartavelina, appunto “Der Papierene“, il primo soprannome che gli affibbiarono. E “Der Papierene“, dopo il duro colpo della morte del padre nel 1917 avvenuta nella battaglia dell’Isonzo, nonostante il lavoro in officina per dare una mano economica alla madre e alle 3 sorelle, continuò a trovare il tempo per giocare e, nel 1918, venne notato da Karl Weimann che lo portò nelle giovanili della squadra del quartiere: l’Herta ASV di Vienna. Nel 1921, all’età di 18 anni, esordì nella massima serie austriaca. Appena due anni dopo, nel 1923, subì un evento che lo segnerà per tutta la vita. S’infortunò al ginocchio e venne operato al menisco. La paura di una ricaduta lo porterà a una decisione: giocherà sempre con una fasciatura elastica a coprire il ginocchio operato. Un anno più tardi lo comprò l’Amateure di Vienna. Non era una squadra qualsiasi, era il vecchio nome dell’Austria Vienna, quella che sarà la più forte della nazione. E fu proprio con questi colori che Matthias Sindelar cominciò a far conoscere il suo nome in tutta Europa. Nel giro di pochi anni l’armata austriaca vinse tutto: svariati campionati nazionali ma soprattutto 2 Coppe dell’Europa Centrale o Mitropa Cup, l’odierna, si può dire, Champions League. Ovviamente “Der Papierene” era la stella di quella gloriosa squadra e la sua fama era pari soltanto all’ungherese Gyorgy Sarosi e al nostro Giuseppe Meazza. Insieme a quest’ultimo, inoltre, diventò uno dei primi sportivi a essere testimonial di prodotti pubblicitari. Insomma, per Matthias un vero e proprio avanzamento sociale. Ma il suo apice doveva ancora arrivare.
DA DER PAPIERENE A MOZART DEL PALLONE
Perché l’apice era alle porte, l’apice era con la maglia della nazionale. La convocazione e l’esordio arrivarono nel 1926 ma l’ascesa fu scandita, in un crescendo, attraverso partite specifiche fino ad arrivare a quel fatidico 3 aprile 1938. Ma non ora, andiamo con ordine. “Der Papierene” entrò subito nelle grazie di tifosi e giornalisti. Il suo talento cristallino, coadiuvato da compagni tutt’altro che inferiori, produceva un gioco frizzante, brillante, veloce e tecnico. Per gli avversari era quasi sempre una sconfitta, netta e rotonda. L’Austria incantava tanto da riuscire a scomodare i padri del calcio: gli inglesi. Gli inventori del gioco, orgogliosi ma rispettosi, concessero alla compagine austriaca la possibilità di sfidarli, ovviamente in terra anglosassone, precisamente a Londra allo Stamford Bridge (stadio del Chelsea) il 7 dicembre 1932. Gli albionici si portarono sul 2-0 all’intervallo ma nel secondo tempo fu tutta un’altra storia. Nella ripresa l’Austria mise in seria difficoltà l’Inghilterra colpo su colpo in un pirotecnico 4-3 uscendo sconfitta dal campo ma non nel morale. L’assoluto protagonista non poteva che essere lui: “Der Papierene“. Sotto lo sguardo scettico di migliaia di inglesi, Matthias Sindelar si manifestò verso l’ottantesimo. L’esile figura austriaca danzò con il pallone, quasi come se fosse spinto dal vento che lo portò da centrocampo fino in porta: il suo fu un gol alla Maradona, anzi come Maradona, come quello che fece, proprio contro gli inglesi, al Mondiale dell’86. Tutta la Gran Bretagna lo incoronò il Times lo venerò. Quel giorno erano nate due creature: il Wunderteam e il Mozart del pallone. Eccolo il secondo soprannome che lo accompagnerà fino alla morte.
Gli anni ’30 sono gli anni d’oro del Wunderteam che, vittoria dopo vittoria, si avvicinava all’appuntamento del Mondiale del 1934 come uno tra i favoriti, se non il favorito. Ma di mezzo si mise un regime totalitario, non quello che lo condannerà, ma un altro, il nostrano purtroppo. La competizione si tenne in Italia e il Duce, guardando agli eventi sportivi come a eventi di grande valore mediatico in grado di avvicinare le masse, ne comprendeva l’importanza come propaganda positiva del regime. Così fu. L’Italia alzerà la sua prima Coppa del Mondo (all’epoca Coppa Rimet) ma con una macchia: la semifinale contro l’Austria. Il Wunderteam,guidato da Hugo Meisl, dominò la partita e il Mozart del pallone fu martoriato di falli senza che l’arbitro, lo svedese Elkind, prendesse provvedimenti per gli italiani, o meglio per uno in particolare, il marcatore di Matthias Sindelar: Luis Monti detto “Il Boia“. Angelo Schiavio, che poi segnò il gol decisivo per l’Italia nella finale, disse a fine partita: “Sindelar era imprendibile. Monti non ce la faceva proprio con quel diavolo“. Fatto sta che ci pensò Guaita a segnare il gol partita, ovviamente mentre il portiere austriaco veniva trattenuto: Italia-Austria 1-0. Si seppe soltanto in seguito che la sera prima Mussolini ed Elkind, l’arbitro, cenarono insieme.
AUSTRIA-GERMANIA: L’ANSCHLUSSSPIEL
Delusione dunque per Sindelar e compagni e primo contatto con un regime totalitario … l’altro stava per arrivare. Ed eccoci alle porte di quella fatidica partita che segnò la vita per il Mozart del pallone. Il 13 marzo 1938 avvenne l’Anschluss. Un mese dopo, il 10 aprile, Hitler indisse un plebiscito sia in Germania sia in Austria con il quale le due popolazioni dovevano esprimersi sull’annessione dell’Austria con la Germania. Fu levato il diritto di voto a circa 200.000 ebrei, circa 170.000 di sangue misto e chi era stato incarcerato per motivi razziali o politici. La scheda elettorale così recitava: “Sei d’accordo con la riunificazione dell’Austria con il Reich tedesco avvenuta il 13 marzo 1938 e voti per la lista del nostro Führer Adolf Hitler?“. Ovviamente fu proprio un plebiscito con il 99% circa dei votanti, sia in Austria sia in Germania, che barrò la casella del sì. Fra questi due eventi s’interpose la nostra partita: Austria-Germania, 3 aprile 1938, al Prater di Vienna. Che cosa era? Era l’AnschlussSpiel, la partita della riunificazione. Doveva sancire, appunto, l’unione tra le due nazioni con l’immediata seguente scomparsa della nazionale austriaca e il passaggio dei suoi giocatori migliori nella compagine tedesca. Ovviamente Hitler, come Mussolini 4 anni prima, aveva intuito il valore mediatico che poteva avere lo sport e soprattutto un evento come i Mondiali di calcio, in programma quell’estate in Francia. Il copione, ovviamente già scritto, prevedeva anche la vittoria della Germania su un Austria, onestamente, molto più forte. Ma Hitler non fece i conti con Matthias Sindelar. Per l’occasione il Wunderteam indossò, invece che la classica maglia bianca con pantaloncini neri, maglia rossa e pantaloncini bianchi per riprendere i colori della bandiera austriaca. La partita, seguita da ben 60.000 spettatori sugli spalti del Prater, fu noiosa, dettata dalla svogliatezza dei giocatori in casacca rossa, palesemente frustrati e tutto fuorché ansiosi di questa riunificazione. Poi l’esile figura decise di ribellarsi. Verso il 70esimo prese il pallone e lo scaraventò in rete. Fece una corsa verso la tribuna ed esultò in faccia agli ufficiali nazisti impietriti dal suo comportamento “non controllato”. A quel punto tutto lo stadio intonò fiero: “Osterreich! Osterreich! Osterreich!“. Verso la fine il raddoppio: questa volta opera di Sesta. Risultato finale: Austria-Germania 2-0. Ma, quel giorno, Matthias Sindelar aveva ancora uno schiaffo da dare ai gerarchi nazisti. Infatti, come da copione, al termine della gara tutti i giocatori dovevano salutare la tribuna occupati dagli ufficiali tedeschi e fare il saluto nazista. Tutti lo fecero a parte, ovviamente, “Der Papierene” e anche l’altro autore del gol, Karl Sesta. Il nazismo, però, non aveva ancora chiuso con Matthias, anzi aveva appena iniziato.
LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
Altro evento che sconvolse la vita al Mozart del pallone fu l’entrata in vigore, il 31 marzo 1938, delle leggi razziali. Vennero, dunque, esclusi da tutti i club sportivi gli ebrei. A quel tempo, proprio l’Austria Vienna, rinominata Ostmark Wien, aveva un presidente ebreo. Si trattava di Mich Schwarz, il quale è obbligato ad abbandonare l’incarico. E ancora una volta Matthias Sindelar diede uno schiaffo al nazismo. In presenza di ufficiali della Gestapo e dei suoi compagni di squadra, guardò Schwarz e, contro la legge nazista, gli disse: Io vorrò sempre conoscerla e salutarla, signor Presidente”. Insomma “Der Papierene” non solo non si spezza ma non si piega neanche. Tanto è vera questa frase che si rifiutò di prendere la tessera del Partito Nazista, si ritirò dal calcio e acquistò il bar dell’ebreo Leopold Simon Drill, a cui non era concesso possedere un’attività, dandogli una somma ragionevole. Qui, al Café Annahof, trascorse il suo ultimo periodo di vita assieme alla sua fidanzata, Camilla Castagnola, di fede ebraica. La Gestapo mise in fila tutti questi episodi, tutti questi affronti e lo tenne sotto controllo fino a quella mattina del 23 gennaio 1939 quando il suo amico Gustav Hartmann lo ritrovò disteso a terra inerte.
Ora, forse, abbiamo capito perché al funerale si presentarono circa 20.000 viennesi a rendere omaggio a Matthias Sindelar, il più grande calciatore austriaco che non si piegò al nazismo.
Twitter: @Francesco Nespoli