India, il traffico delle ragazze bengalesi vendute come spose nel Kashmir

ragazze bengalesi vendute come sposeVengono spedite nel Kashmir (il più settentrionale degli stati dell’India, al confine con Pakistan e Cina) con la promessa di una vacanza o di un lavoro, ma all’arrivo la realtà è ben più amara. È la triste sorte di molte ragazze bengalesi vendute come spose per poche rupie dalle proprie famiglie: provenienti dall’India centro-occidentale, sono inviate – spesso ancora adolescenti – nello stato del Jammu e Kashmir, a più di duemila chilometri di distanza. La pratica della compravendita delle giovani della regione del Bengala è cresciuta negli ultimi tempi e la ragione principale è che, per gli “acquirenti” – uomini divorziati e molto poveri per i quali è difficile trovare moglie – sposare una donna del posto costerebbe molto più denaro. I mariti sono molto più vecchi, talvolta con handicap fisici. Il prezzo che pagano alle famiglie delle giovani oscilla solitamente tra le 5.000 e le 20.000 rupie, tra i 58 e i 265 euro. La maggior parte delle ragazze non sanno nulla della loro condizione finché non giungono a destinazione. Come Asma, arrivata quindici anni fa e convinta di essere stata spedita in vacanza insieme ad un parente. Intervistata dai media locali, Asma, il volto coperto per non essere riconosciuta, ha raccontato che aveva 15 anni al momento del suo arrivo: «non conosco l’età di mio marito, ma sembra abbastanza vecchio da poter essere mio nonno». Gli anni iniziali in Kashmir, racconta la giovane, sono durissimi: «Non conoscevo la lingua. Se ero affamata non sapevo come dirlo. Se non mi sentivo bene nessuno mi capiva». Il divario tra i due stati indiani è enorme per cultura e tradizioni; spesso, per le ragazze che non parlano l’Hindi e non conoscono altro che il dialetto bengali, comunicare resta a lungo un tabù.

La trattativa è solitamente gestita dalle famiglie, talvolta da agenti professionisti. In poche sanno cosa le ragazze bengalesi vendute come sposeaspetta, e anche queste ultime vengono ingannate dai parenti che mostrano alle ragazze fotografie di presunti mariti giovani e avvenenti. Una volta scoperta la verità, ad ogni modo, tornare indietro è impossibile a causa della mancanza di risorse economiche e della distanza. Così, tutte finiscono per rassegnarsi, o come Asma, si «riconciliano» con la propria sorte: «Non ho avuto scelta. Oggi ho tre figli e una di loro è più alta di me. Questa è la mia famiglia. Non ho nessuno eccetto loro». Oltre alla lingua, al clima e alle abitudini differenti, le bengalesi sono costrette a subire anche le discriminazioni degli abitanti kashmiri. «Non esiste rispetto», spiega Maryam, sposatasi con un uomo più vecchio 13 anni fa: «Gli uomini che ci comprano sono i più poveri tra i poveri, hanno delle menomazioni fisiche e si trovano molto in basso nella scala sociale. Inoltre, il nostro aspetto tradisce la nostra identità. Anche una piccola discussione con un vicino è un pretesto per prenderci di mira perché siamo bengalesi».

Nel subcontinente indiano, dove i matrimoni combinati sono ancora ampiamente diffusi e a 26 anni si è considerate già “vecchie” per sposarsi, il dramma delle ragazze bengalesi vendute come spose si consuma in silenzio. Anche, e soprattutto, a causa delle agitazioni al confine dello stato, dove il conflitto tra India e Pakistan, in corso dal 1947, è ben lontano dal risolversi. Nayema Mahjoor, presidente della commissione per le donne dello stato del Jammu e Kashmir, ha denunciato la situazione più volte, invano. «Molte delle ragazze che arrivano – spiega – sono appena adolescenti. Sebbene chiunque abbia il diritto di sposarsi in Kashmir, questo tipo di unioni sono una vergogna. Siamo una società etica, religiosa. Non possiamo tollerare questo sfruttamento sotto il nome di matrimonio». Per Ahmaz Quazi, pittore professionista, pagare per una sposa di un altro stato era l’unica possibilità: «Ho perso la gamba sinistra e camminare, stare seduto o in piedi è difficile. Che altra scelta avevo? Con una simile disabilità e guadagnando pochissimo questo era il modo più facile di farmi una famiglia».

 

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