Kristina Milakovic, ovvero viaggiare nella dimensione onirica dell’arte

Nella mitologia greca, il Sonno era figlio della Notte e fratello gemello della Morte: munito di papavero e di verga, toccava gli uomini e li addormentava, dando loro serenità e risposo. E sono tratti misteriosi, tipici della sfera onirica, quelli che rintracciamo nei quadri di Kristina Milacovic. Forte come Cleopatra, decisa come Simone de Beauvoir e misteriosa come la Monna Lisa, Kristina Milakovic si palesa ai nostri occhi come l’immagine di un enigma dalla difficile soluzione. Shubert disse che il sogno – come la poesia – fa appello a certe regioni interiori che comunicano con una realtà cosmica più profonda di quella cui noi attingiamo nello stato ridesto: Kristina Milacovic è in grado di trasformare l’impalpabile corso del pensiero – partorito da un diverso grado della realtà – nella tangibile forma generata dal suo pennello.

Passeggiando per via dei Delfini – che nella capitale collega Piazza Margana a via dei Funari – è probabile che un piccolo studio possa arrestare il vostro passo poiché colti da un’irrefrenabile curiosità. Si tratta di Evasioni Art Studio, fondato nel 2009 dall’artista Giulia Spernazza e di cui ne fanno parte dal 2015 le pittrici Alessandra Carloni e Kristina Milakovic. Ed è proprio in questo spazio pullulante di espressioni variegate, che abbiamo avuto il piacere di incontrare Kristina Milacovic.

 

Nata a Belgrado nel 1976, nel 1996 decidi di trasferirti in Italia. Come hai maturato questa decisione?

“L’idea di andare via dal mio Paese nacque da un esigenza di tipo pratico. Vent’anni fa, iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Belgrado era un’impresa difficile (se non vogliamo dire impossibile). La città era rotta e a governare, in ogni settore, vi erano la corruzione e la speculazione. Ogni anno entravano soltanto ventidue persone che andavano a formare la classe: dopo aver trovato i ‘canali giusti’ ed aver effettuato i ‘pagamenti’, gli studenti superavano in modo assicurato il test di ingresso. kristina milakovicProvai a fare l’esame di ammissione per due anni di seguito, ma vedendo che il sistema non sarebbe cambiato di lì a breve, optai per una nuova strategia: con quei soldi destinati inevitabilmente a un’operazione illecita (all’epoca dieci milioni di lire), mi sarei trasferita all’estero. In dubbio fra Atene e Praga, alla fine decisi di partire per l’Italia: le accademie non erano a pagamento a differenza delle altre due città e poi era molto più comodo ed economico tornare in Serbia. Quindi nel 1996 mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, città in cui restai un anno poiché essendo cresciuta a Belgrado, per me era troppo piccola: senza pensarci troppo, preparai i bagagli alla volta della capitale. All’inizio del 1997 mi iscrivo dell’Accademia di Belle Arti di Roma e studio presso la 1° Cattedra di Pittura del Professore Nunzio Solendo. Con quest’ultimo avevo instaurato un rapporto di odio puro (e direi anche reciproco) dal momento che non apprezzava la mia volontà di voler portare avanti il mio percorso con l’astrattismo: per fortuna, come tutte le storie a lieto fine, dopo il Diploma siamo diventati amici stabilendo un legame simile a quello che un padre ha con la figlia”.

La fantasia non inventa ma rivela. Nella tua vita, c’è stata una musa in particolare a indicarti la strada verso l’arte o “un modo per entrare in contatto con la propria follia”, come direbbe Susan Sontag?

“Sono cresciuta in mezzo ai colori, i colori di mia madre. Lei è una pittrice autodidatta e sin da piccola – nella nostra casa che era per metà studio – ho imparato le tecniche di costruzione del telaio e a fare piccole cose, come aiutarla nella stesura degli sfondi ad esempio. Mamma prendeva le immagini dei quadri dai libri e li riproduceva in modo preciso, senza averli neanche mai visti dal vivo: icone bizantine, alcune opere di William Turner e la pittura romantica in generale. A tredici anni cominciai ad imitarla perché a Belgrado se sei un bravo pittore, diventi una sorta di artigiano: dunque vendi e guadagni bene. Ricordo ancora con grande divertimento di essermi incaponita su un paio di pantaloni che costavano troppo e mia madre (come darle torto), non mi avrebbe mai dato i soldi necessari per assecondare il mio capriccio. Così sotto la sua spinta-sfida, presi un Turner e lo copiai: con sommo stupore lei riuscì a venderlo ed io, con quel ricavato, comprai i milakovicmiei tanto desiderati pantaloni che dettavano la moda del momento. Senza dubbio è stata lei a insegnarmi il mestiere, ma ho capito che la mia era una vera passione e autentica vocazione all’arte all’incirca in seconda superiore: da quel momento botteghe e corsi di pittura in studi importanti sono diventati il mio pane quotidiano. Subito dopo l’Accademia, la mia creatività subì una sorta di battuta d’arresto: avevo allestito una mostra in una strada di Roma quando un medico di una clinica psichiatrica restando colpito dai miei lavori, mi propose di andare a insegnare pittura ai pazienti. È stata un’esperienza intensa durata sette lunghi anni. Mi ha dato molto ma allo stesso tempo – impiegando intere giornate a impartire lezioni – la mia arte, all’epoca, rimase ferma. Il licenziamento mi sembrò la decisione migliore che potessi prendere, perché se fossi rimasta lì, probabilmente non sarei riuscita a capire ciò che volevo fare sul serio nella prospettiva futura, ovvero lavorare e vivere della mia arte. Dal 2009 mi sono rimessa in gioco e fra gli incarichi recenti che più ho amato vi è stato quello di illustrare alcune stanze dell’opera “Ritorno alla terra desolata” di Gabriele Marconi: un’atmosfera fatta di parole e di immagini, in cui la poesia incontra l’arte, creando il connubio perfetto”.

Le tele, i disegni e le carte di Kristina Milakovic sono territori da esplorare, da scoprire con il lento movimento dello sguardo: edifici, paesaggi, finestre ed elementi architettonici vengono allora trasfigurati dal tocco astratto della sua mano ferma e le sfumature, cifra stilistica dell’artista, spaziano da tonalità chiare a gradazioni sempre più scure tanto da richiamare il nero della notte e il buio dell’anima. La sua è una pittura emotiva, gestita dai moti d’animo che colgono la pittrice in modo improvviso e il supporto su cui essa si esprime, è spesso oggetto di sfogo e di riflessione. Dei puntini di colore rosso talvolta prendono vita sui quadri dando loro una luce diversa, un tocco che sembrerebbe quasi la firma con il sangue della stessa Kristina Milakovic sulla tela: una tela che è la pelle stessa dell’artista. Guardare un’opera di Kristina Milakovic è come leggere una poesia di Arthur Rimbaud: un processo di spersonalizzazione e smarrimento continuo.  Di ampio respiro europeo, la sua arte non trova collocazione nelle canoniche definizioni della disciplina. È un continuo viaggio alla ricerca di nuove isole su cui approdare.

 

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@_mchiara