Le mille e una notte al Centrale Preneste Teatro

Torna la domenica e torna la Rassegna Infanzie in gioco. Domani 15 gennaio va in scena Le mille e una notte al Centrale Preneste. E’ spettacolo stupefacente, nato dalla collaborazione di Antonio Panzuto con la Compagnia TAM Teatro Musica. Intervistare il visionario e poliedrico creatore del magico teatro di Le Mille e una notte era un’occasione da non lasciarsi scappare.

Nonostante sia entrato a far parte del nostro immaginario, come mai la scelta è ricaduta su un testo così esotico?

Le mille e una notte ormai fanno parte della nostra cultura e quindi non è più così esotico. In realtà a me piacciono le grandi storie e la letteratura, infatti ho messo in scena anche l’Odissea e Le città invisibili di Calvino. Il lavoro che preferisco fare: parlare con gli oggetti. Riesco a creare dei mondi, delle stagioni in cui queste storie si sviluppano, confrontandomi con lo spazio (questo spettacolo è tutto costruito con corri scala). Quindi Le Mille e una notte sono sull’onda delle storie epiche.

La sua attività ha molto a che fare con la letteratura. Lei ha parlato delle Città Invisibili di Calvino, in cui l’aspetto del gioco è fondamentale. Quindi, quanto è legato alla semplice attività del gioco il suo modo di esprimersi?

Io sono anche architetto, quindi capisci questa mia predilezione per le città: rappresentano un mio immaginario forte. Tra l’altro io faccio molto il lavoro di scenografo per teatri stabili. Da poco ho finito il Deserto dei Tartari sempre su questo tema. Certo, il gioco è una caratteristica dell’arte perché fa parte di quei meccanismi (e di quelle regole severe) attraverso i quali riesce a svilupparsi. Per me è come chiudermi in una stanza e cominciare a giocare con quegli oggetti. In questo spettacolo appaiono le figure classiche de Le Mille e una notte che abitano la città di Baghdad che io ricostruisco in diversi modi: attraverso piccoli pezzi di legno, figure di alberi. Si ricrea questo luogo fantastico legato al tema della trasformazione. La scenografia è una specie di duna che piano piano, attraverso il mio lavoro di manipolazione, trasforma continuamente il paesaggio in deserto, mare, città. Si creano dei meccanismi di interazione tra gli oggetti e me che sono il loro demiurgo meccanico.

Per lei è molto importante, legandoci al tema della trasformazione, l’idea di un “tempo sospeso”. Allora qual è il senso del teatro in questa visione magica? I bambini sono un pubblico privilegiato?

I miei spettacoli sono per un pubblico molto trasversale. Io non costruisco storie appositamente per i bambini; sono piuttosto loro che entrano in questo meccanismo sotterraneo, che è appunto quello del gioco. Ad esempio Le città Invisibili non è un testo semplice, però, letto in un certo modo, fa entrare i bambini in un mondo di suggestione.

Qual è stata la sfida in questo lavoro?

Questo spettacolo è una sfida alle parole. Io e il mio regista storico Alessandro Tognon abbiamo deciso che in quasi tutto lo spettacolo non c’è parola, ma solo qualche intervento di Sherazade registrato. Le mille e una notte è semplicemente una ricostruzione di climi, contesti, stagioni, giorni, notti, solo con i suoni e i movimenti. E’ un tempo molto lento che ci concediamo in questo spettacolo, molto pacato, come fosse un papà che racconta una fiaba per far addormentare i suoi bambini.

Quanto le sue creazioni teatrali potrebbero essere considerate delle istallazioni di Arte contemporanea? 

Questa domanda al momento è molto pertinente poiché ho appena concluso una mostra. Il mio lavoro è molto trasversale; non mi considero un artista esclusivamente di teatro: sono architetto, scultore. Nello spettacolo gli oggetti sono sculture molto delicate. Sono anche pittore, in realtà. Il tema dell’ architettura mi prende piuttosto come tema (d’altronde non ho mai fatto lavori di architetto) e non abbandono mai il concetto della composizione degli spazi; il mestiere dello scenografo consiste poi in questo: una metamorfosi dello spazio con regole definite e dispositivi precisi. Diciamo che io creo delle “architetture oniriche”. Lo spettacolo è per un pubblico abbastanza limitato e va visto da vicino. A Roma la scena sarà un po’ più sbilanciata perché dobbiamo lasciare lo spazio anche alle persone in gradinata, ma abbiamo lo stesso deciso di farlo perché a Ruota Libera piaceva l’idea ed è stato un piacere.

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