Global Risk Report, cosa temono i potenti?

Global Risk ReportGiunto con il 2017 alla sua dodicesima edizione, il Global Risk Report rivela quali sono le “paure” dei potenti del mondo e rivela una situazione globale particolarmente tesa.

Preparato in occasione del World Economic Forum di Davos, vertice di capi di stato, banchieri e finanzieri globali che si svolgerà nella cittadina svizzera dal 21 al 24 gennaio, il Global Risk Report 2017 analizza i principali rischi con i quali confrontarsi, ma rivela allo stesso tempo, in una dettagliata analisi di cause e con-cause, quali sono le ansie e le minacce che tormentano i sonni dei potenti.

Sebbene infatti la top 5 dei rischi mondiali per il 2017 – gli eventi climatici estremi, le migrazioni incontrollate e su larga scala, le calamità naturali, gli attacchi terroristici e il furto e le frodi di dati – rappresenti il bilancio di un 2016 terribilmente tragico per ognuno di questi aspetti, ciò che ha più importanza è invece la riflessione su quali siano le cause che si nascondono dietro questi effetti e quali le soluzioni da sperimentare.

Global Risk ReportAl di là delle elaboratissime e complicate infografiche che intrecciano problemi di natura climatica ad altri di tipo ambientale, interconnessi a loro volta con difficoltà di carattere sociale e ad altri ancora in una fittissima ragnatela, al di là di questo bastano le prime, drammatiche, righe del Global Risk Report a far luce sul vero spettro che si aggira per il mondo globale: l’instabilità sociale e le ventate populiste e nazionaliste.

Diversi, si legge nel report, sono stati i fattori che nel 2016 hanno portato a preoccupanti eventi politici. In particolare il voto sulla Brexit, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e il rigetto delle riforme costituzionali di Matteo Renzi vengono identificati come campanelli d’allarme che potrebbero avere conseguenze di vasta portata.

Questa folata di venti contrari (la cui natura poco interessa quando il punto è che minano l’ordine globale neoliberista) che va dalla vittoria di Trump all’ascesa del Front National passando per l’isolazionismo inglese e il fallito tentativo di riforma in Italia (chiamiamolo così…) porta gli estensori del rapporto a domandarsi se non sia l’occidente stesso ad essere arrivato a un punto di svolta che potrebbe portare a un periodo di maggiore instabilità e de-globalizzazione.

Certo, l’incertezza e l’instabilità dell’occidente non vengono presentate come un fattore esclusivamente occidentale; fa eco infatti la polveriera sud-america, da anni contro-modello rispetto all’asse occidentale che adesso attraversa un momento storico quanto mai incerto.

Ma se sono queste le vere paure delle elités occidentali, e cioè elementi endogeni di mutamento tali da minare l’ordine costituito, allora non c’è che da battere le mani e ricordare che chi semina vento raccoglie tempesta. Poiché se pure gli antidoti proposti quali la crescita economica, il contrasto alla gig-economy e ai lavori sottopagati, il riconoscimento delle identità e il rafforzamento del senso di comunità per evitare la crescita del razzismo, il rafforzamento della cooperazione globale possono essere condivisibili, viene allora da chiedersi dove erano gli stessi “potenti” quando incoraggiavano solo taglia alla spesa e pagamento del debito (vedi Grecia), mini-job alla tedesca o vaucher all’italiana, lo smantellamento di ogni fattore di identità e di diversità in favore del peggiore conformismo e della conseguente ghettizzazione del “diverso”, la rasa al suolo dell’esperienze di comunità e di solidarietà in favore di una sempre crescente frammentazione sociale e antisolidale.

@aurelio_lentini

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