Morto Epaminonda, detto “il Tebano”. Fu boss della mala milanese negli anni ’70
È morto lo scorso aprile, a 70 anni Angelo Epaminonda, detto “il Tebano”, ma la notizia del decesso è stata rivelata solo ieri quando sono stati depositati gli atti di indagine sul processo che vuole far luce sull’omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. Epaminonda era stato un tempo il boss della malavita milanese ma ormai erano passati i tempi dello spaccio, degli omicidi, delle belle donne e delle bische. Una vita romanzesca la sua, degna di quelle raccontate da serie quali “romanzo criminale”. Un impero che lo stesso Epaminonda ha visto finire in una notte di 32 anni fa.
Siamo nel settembre del 1984, il capo della Mobile di Torino, Piero Sassi, fa irruzione nel suo appartamento di lusso e lo trova con la sua pistola calibro 9 e ben 8 chili di droga in casa. Ci penserà un altro magistrato di quegli anni, Fancesco “ciccio” Di Maggio a farlo collaborare, facendo leva su l’unica cosa che rende anche un criminale ragionevole, “i figli”.
Epaminonda vende cosi tutta la sua banda, “gli indiani”. Una banda spietata, capace di uccidere per uno sguardo sbagliato o un parcheggio negato. Ma nelle 350 pagine di confessione, il cosiddetto “libro nero della mala milanese“, trovano spazio anche i soci storici come Turatello, i politici che elargivano favori e i magistrati che lo assolvevano. Racconti di famiglie nobili, di gioco d’azzardo, di lussuose ville a Montecarlo, di donne facili per i politici e bella vita. Poi gli omicidi, un mare di omicidi. Ben 17 quelli confessati e 44 quelli fatti scoprire. In quegli anni Epaminonda era praticamente onnipotente, poteva tirare fuori un miliardo in contati in una notte o comprarsi un intero processo.
Era tornato in libertà solamente nel 2007, dopo una condanna a 29 anni di reclusione sentenziata dalla prima Corte d’Assise nel maxi processo contro le cosche catanesi a Milano. Viveva ormai da anni in una località segreta nel centro Italia, aveva cambiato nome e vita, cercando di sfuggire ai tanti che dopo la trasformazione da boss a traditore lo volevano morto. Aveva lavorato in un negozio di alimentari e poi smesso del tutto di lavorare per via di una malattia. Epaminonda era un teste indicato nelle fonti di prova del processo sull’omicidio del procuratore Caccia, ma stavolta, “il Tebano” non ha potuto più raccontare le sue verità.
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