Firme false a Cinque Stelle: perquisito il marito dell’on. Lupo
Firme false a Cinque Stelle, così è stata ribattezzata l’inchiesta che coinvolge almeno dieci esponenti pentastellati accusati di aver copiato le firme sulla lista presentata dal movimento alle comunali del 2012. Tra gli indagati due parlamentari nazionali, Riccardo Nuti e Claudia Mannino, due parlamentari regionali in Sicilia, Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca e gli attivisti Samanta Busalacchi, Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso e Francesco Menallo nonché il cancelliere del tribunale, Giovanni Scarpello, che avrebbe autenticato le firme contraffatte.
I FATTI. La vicenda, emersa da un’inchiesta de Le Iene, inizia quattro anni fa quando all’indomani della consegna delle firme per la presentazione della lista 5 Stelle alle comunali di Palermo, in una stanzetta del meet up adiacente al porto gli indagati avrebbero ricopiato 1.400 firme su 1.900. Il caso però scoppia due mesi fa quando Filippo Roma a Le Iene decide di raccogliere una segnalazione anonima che travolge gli indagati. Il primo a parlare è il professor Vincenzo Pintagro, attivista candidato nel 2012 alle comunali dal Movimento. Pintagro è il primo a definire i contorni della vicenda, dichiarando: «Quando si sono raccolte le firme io ho trovato due persone che stavano ricopiando 2.000 firme e in quella sede dissi subito, e fui il solo: ragà ma siete pazzi, noi stiamo commettendo un reato penale». Il motivo? A detta del professore un errore formale presente su un modulo: il luogo di nascita di un candidato era stato erroneamente trascritto, da qui, per paura di essere esclusi dalle elezioni, la decisione degli attivisti di ricopiare le firme. Le prime ad essere coinvolte sono Claudia Mannino e Samanta Busalacchi, ma la vicenda si propaga travolgendo quasi interamente il Movimento Cinque Stelle a Palermo così da indurre i vertici e lo stesso Grillo a intervenire invocando l’autosospensione dei coinvolti. Sospensione che poi arriverà tramite il collegio dei probiviri, organo che ha facoltà di disporre questo provvedimento cautelare. La risonanza dell’inchiesta è fortissima, sviluppandosi in un botta e risposta mediatico tra vertici e palermitani pentastellati. Ma la bomba scoppia il 15 novembre quando Claudia La Rocca, deputata regionale, dopo un consulto con Grillo crolla e confessa tutto. La Rocca vuota il sacco in procura dichiarando che sì è tutto vero ma che ignorantia legis, nel suo caso, excusat non essendosi resa conto di stare commettendo un reato. L’ipotesi accusatoria si fa sempre più concreta e in Sicilia il Movimento inizia a dividersi tra chi come Gianfranco Cancellieri, capogruppo all’Assemblea regionale, chiede la testa degli indagati e chi come Riccardo Nuti (presunto artefice della vicenda) continua a difendersi professandosi innocente.
LA DIFESA. Proprio in virtù di quella innocenza Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita decidono di presentare un esposto alla procura con l’accusa rivolta a La Rocca di essere stata ispirata nella confessione da un terzo attore, l’avv. Ugo Forello, fondatore di AddioPizzo. Secondo l’esposto firmato dal legale dei Cinque Stelle, Domenico Monteleone, Forello si vanterebbe di aver avuto dubbi rapporti di collaborazione con Dino Petrello, procuratore aggiunto cui le suddette indagini sono affidate. Dubbi sollevati con forza dagli indagati e corroborati da diverse scorrettezze susseguitesi nell’arco della vicenda. Indiscrezioni raccontano di come molte informazioni (come la volontà degli indagati di non sottoporsi a perizia calligrafica) filtrassero dalla procura ai giornali nell’arco dei colloqui a cui Nuti, Mannino e De Vita si sono sottoposti. E se da un lato i media dimostravano un’accesa sete di notizie, nessun giornale ha riportato la notizia dell’insolita perquisizione da parte della DIGOS sul luogo di lavoro di Riccardo Ricciardi, marito dell’on. Loredana Lupo, colui che avrebbe materialmente consegnato le firme contraffate in cancelleria, cui è stata sottratta una copia de La Settimana Enigmistica proprio allo scopo di reperire prove, riscontri che a fortiori la procura sta cercando ma ancora non possiede.
IL CORRENTISMO. Il clima pulp non finisce qui dato che stando a quanto dichiarato in una lettera al Corriere della Sera dallo stesso Avv. Monteleone «è parso chiaro il progetto avversario ed il sotteso tentativo di qualcuno di strumentalizzare le regole del Movimento», aggiungendo: «L’autosospensione cioè avrebbe portato a compimento un preciso disegno di lotta pseudopolitica con automatico danno verso i miei clienti nonché verso lo stesso Movimento. Peraltro, da legale, non vedo perché un soggetto innocente debba limitare la propria sfera di azione aiutando, così, chi trama alle sue spalle». “Lotta pseudopolitica” il cui terreno di scontro sembrerebbe soprattutto interno e se da un lato a Roma si procede al commissariamento della sindaca capitolina a Palermo come a Bologna (dove vicenda analoga si è profilata) i vertici hanno adottato da subito una linea accusatoria. Perplime il senso di tali comportamenti che trascende necessariamente dall’onestà, palesando la constante confusione dei pentastellati tra garantismo e opportunità politica. Di recente pare se ne siano accorti anche loro, tant’è che Grillo ha annunciato una ridefinizione del codice etico ormai più virus da debellare che anticorpo.
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